All’inizio era il tempo dell’attacco alle Torri gemelle, della caccia a Bin Laden, della spiacevolissima scoperta di sentirsi insicuri a casa propria. Oggi sono i giorni della terza guerra mondiale “a pezzi”, della crisi che alza i muri contro i migranti, della paura che rende i poveri, “nemici” di chi ha meno di loro. Nel mezzo, il tragico elenco delle tante, troppe volte in cui la violenza ha bestemmiato il nome di Dio, ma anche il rinnovato impegno per la pace, la testimonianza silenziosa dei molti che, passo dopo passo, si sono impegnati a cambiare il male in bene, la volontà di conoscersi, il lavorìo dei vertici delle comunità per incontrarsi senza pregiudizi. La Giornata per il dialogo cristiano-islamico compie 15 anni e li festeggia oggi, nel 30° anniversario del primo incontro di preghiera per la pace promosso ad Assisi da Giovanni Paolo II. Un appuntamento che nel 2016, e probabilmente non poteva essere altrimenti, mette a tema, nella visione cattolica, i contenuti dell’Anno Santo. “Misericordia e diritti: presupposti per un dialogo costruttivo” è infatti il titolo scelto dagli organizzatori.
«Un argomento quasi obbligato – riflette don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso – che leggo in modo positivo. Indica la volontà di sottolineare, pur nelle reciproche differenze, un patrimonio comune, che arricchisce sia me che l’altro. Più concretamente sapere come l’islam interpreta e vive il concetto di misericordia penso possa aiutare la cristianità. E viceversa». La misericordia, dunque, come valore trasversale, che mette in dialogo tra loro cristianesimo, islam, ebraismo, ma anche, volendo, altre espressioni religiose. La sfida semmai è vedere come viene vissuta. «Occorre verificare come si concretizza nel quotidiano, a cominciare dal rapporto con gli altri. Perché a livello di teologia, nella teoria, ci troviamo tutti d’accordo. Dio è il misericordioso, quindi la misericordia non è un’invenzione dell’uomo, ma un valore che egli vive, per così dire, di riflesso, in quanto creato a immagine del Padre».
Quindici anni di cammino significano, se non proprio tradizione, almeno consuetudine virtuosa. Malgrado questo, la Giornata fatica a essere sentita come momento importante, ad avere un ruolo di primo piano nell’agenda delle comunità. «È proprio così, però un primo risultato l’abbiamo avuto: l’appuntamento è entrato nella coscienza delle istituzioni – sottolinea Bettega –, nel senso che, sparsi in giro per l’Italia, ci sono centri diocesani più o meno grandi che organizzano appuntamenti, iniziative o che hanno avviato bei progetti di dialogo e collaborazione con la realtà islamica locale». Un cammino che appare imprescindibile se si vuole fare i conti con la società di oggi, dove la presenza musulmana riguarda tutti gli ambiti della convivenza civile. Dalla scuola, al lavoro, allo svago, allo sport. «L’indiscutibile e numerosa presenza islamica in Italia impone quasi naturalmente una riflessione. Però il dialogo non va visto solo come un ripiego, obbligato perché non possiamo farne a meno. In una prospettiva cristiana, consapevoli che lo Spirito Santo non agisce per magia ma attraverso gli uomini, dobbiamo leggere questa presenza come un segno dei tempi». Si tratta ora di passare dal livello istituzionale e degli addetti ai lavori a uno più popolare, di base. «Vale sia per noi cristiani sia per i musulmani. Sono convinto che se le rispettive comunità, gli oratori, le parrocchie, le Caritas da una parte, i centri islamici, le moschee dall’altra, vedono che le loro guide, cioè gli imam, i preti, i vescovi, si incontrano, dialogano, fanno delle cose insieme, saranno a loro volta invogliate a fare altrettanto. Un passaggio che però fatica a concretizzarsi». Un salto di qualità che è anche antidoto alle incomprensioni, alle chiusure, alle false informazioni che generano convinzioni sbagliate.
Un impegno che ha un testimone d’eccezione in papa Francesco. Non a caso nel presentare la Giornata, i promotori fanno esplicito riferimento alle «coraggiose prese di posizione» del Pontefice dopo la brutale uccisione di padre Jaques Hamel in Francia. Grazie ai suoi interventi «appare sempre più evidente che la religione non c’entra nulla con la guerra in corso e che è sempre più necessario rafforzare il dialogo» tra le fedi. «Penso – conclude don Bettega – che il primo grande merito del Papa sia quello di “battere il chiodo”, di continuare a martellare sul tema. Il fatto che Francesco, senza essere obbligato, non perda occasione per rilanciare il dialogo ecumenico e interreligioso impone a ciascuno di noi di riflettere, di confrontarsi con le sue parole. Spero, anzi sono convinto, che alla lunga questo suo continuo spendersi, con discorsi e gesti, rafforzerà le ragioni del dialogo e le convinzioni di chi ci crede».