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Del tema si era parlato in occasione del viaggio apostolico del Papa in Canada, dal 24 al 30 luglio scorsi: la necessità che la Chiesa prendesse le distanze in modo formale dalla cosiddetta “Dottrina della scoperta”, in auge nei secoli scorsi, secondo cui un monarca cristiano che scopriva terre abitate da indigeni aveva il diritto a dichiararle sue, come se non fossero appunto di nessuno. Una posizione giuridica fatta propria dalle potenze coloniali e per cui venivano chiamate in causa alcune bolle pontificie del XV secolo. I rappresentanti delle comunità indigene canadesi, e di seguito anche i vescovi del Paese nordamericano, avevano auspicato che Francesco potesse dire una parola chiara a riguardo, seppur ex post. Quella parola è arrivata ieri con una nota congiunta del Dicasteri per la cultura e l’educazione e quello per il servizio dello sviluppo umano integrale.
«Nel corso della storia – si legge nell’incipit del documento – i Papi hanno condannato gli atti di violenza, oppressione, ingiustizia sociale e schiavitù, compresi quelli commessi contro le popolazioni indigene. Ci sono stati anche numerosi esempi di vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici che hanno dato la loro vita in difesa della dignità di quei popoli». Allo stesso tempo si riconosce che «molti cristiani hanno commesso atti malvagi contro le popolazioni indigene per i quali i Papi recenti hanno chiesto perdono in numerose occasioni». Ai nostri giorni «un rinnovato dialogo con i popoli indigeni, soprattutto con quelli che professano la fede cattolica, ha aiutato la Chiesa a comprendere meglio i loro valori e le loro culture. Con il loro aiuto, la Chiesa ha acquisito una maggiore consapevolezza delle loro sofferenze, passate e presenti, dovute all’espropriazione delle loro terre, che considerano un dono sacro di Dio e dei loro antenati, e alle politiche di assimilazione forzata, promosse dalle autorità governative del tempo, volte a eliminare le loro culture indigene».
Si entra poi in medias res: «Il concetto giuridico di “scoperta” è stato dibattuto dalle potenze coloniali a partire dal XVI secolo e ha trovato particolare espressione nella giurisprudenza ottocentesca dei tribunali di diversi Paesi, secondo cui la scoperta di terre da parte dei coloni concedeva il diritto esclusivo di estinguere, mediante acquisto o conquista, il titolo o il possesso di quelle terre da parte delle popolazioni indigene. Alcuni studiosi hanno sostenuto che la base della suddetta “dottrina” si trova in diversi documenti papali, come le Bolle Dum Diversas (1452), Romanus Pontifex (1455) e Inter Caetera (1493)».
A tal proposito la nota fa la puntualizzazione centrale: «La “dottrina della scoperta” non fa parte dell’insegnamento della Chiesa cattolica. La ricerca storica dimostra chiaramente che i documenti papali in questione, scritti in un periodo storico specifico e legati a questioni politiche, non sono mai stati considerati espressioni della fede cattolica. Allo stesso tempo, la Chiesa riconosce che queste Bolle papali non riflettevano adeguatamente la pari dignità e i diritti dei popoli indigeni». Così «la Chiesa è anche consapevole del fatto che il contenuto di questi documenti è stato manipolato a fini politici dalle potenze coloniali in competizione tra loro, per giustificare atti immorali contro le popolazioni indigene, compiuti talvolta senza l’opposizione delle autorità ecclesiastiche». Chiesa che «ripudia quindi quei concetti che non riconoscono i diritti umani intrinseci dei popoli indigeni».
C’è spazio anche per una citazione chiarificatrice della Bolla Sublimis Deus del 1537, di papa Paolo III, il Pontefice che indisse il Concilio di Trento e approvò la Compagnia di Gesù : «Definiamo e dichiariamo [... ] che [ ... ] i detti indiani e tutti gli altri popoli che in seguito saranno scoperti dai cristiani, non devono in alcun modo essere privati della loro libertà o del possesso dei loro beni, anche se non sono di fede cristiana; e che possono e devono, liberamente e legittimamente, godere della loro libertà e del possesso dei loro beni; né devono essere in alcun modo ridotti in schiavitù; se dovesse accadere il contrario, sarà nullo e non avrà alcun effetto».