Vincenzo Varagona
Uno striscione, un'immagine di Cristo, uno scrigno vuoto, da riempire con emozioni e speranze: sono tre doni che arrivano a Lisbona dai 90 detenuti del carcere di massima sicurezza di Fossombrone, nelle Marche.
Gli ambasciatori, una delegazione della diocesi di Fano, Fossombrone, Cagli e Pergola, guidata da don Francesco Pierpaoli, vicario diocesano e don Desiré Gahungue, cappellano della struttura, che in un messaggio ricorda come i giovani partiti per Lisbona hanno preparato il viaggio con un incontro, proprio in carcere, il 20 maggio scorso. Video e foto della consegna dei doni arrivano nella casa di reclusione pochi minuti prima che cominci un momento forte, molto intenso: la Via Crucis voluta dagli stessi detenuti in sintonia con papa Francesco, a Lisbona, dove gli ospiti hanno messo nelle mani del Signore tutto il carico di sofferenze, il desiderio di riscatto, maturati in questi anni.
Una preghiera davvero particolare, nel teatro del carcere, dove in platea hanno preso posto gli ospiti che hanno accettato questa proposta.
Sul palco un grande crocifisso in legno, realizzato con gli scarti di lavorazione del laboratorio di falegnameria.
Sotto la croce, seduti, nove detenuti. Le norme di sicurezza non rendevano possibile un itinerario in movimento, né la durata tradizionale con 14 stazioni.
Allora la cappellania, con la regia di suor Catherine Southwood, che ne fa parte, ha ridotto le stazioni a nove, con la croce che - di stazione in stazione - è passata nelle mani di altrettanti detenuti.
“Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”, si legge nel Vangelo di Giovanni: “Così, spiega suor Catherine, è affiorata l’idea di questa croce realizzata da un detenuto, Nicola, con le eccedenze dai precedenti lavori, destinati allo scarto, invece ritagliati ed elaborati, verso la nuova creazione”.
Una croce da un metro e 86 centimetri, che appare spigolosa, “espressione delle sofferenze quotidiane di ogni detenuto e delle famiglie, senza escludere quelle delle vittime e dei loro familiari colpite dai reati".
Vincenzo Varagona
Al posto dei chiodi delle mani si trovano due cuori, circondati da spine e attraversati da una spada: “Sono i cuori di Gesù e di Maria, ma possono essere i cuori delle madri: capaci di stare accanto a loro figli con un amore incondizionato, abbracciando la sofferenza e le umiliazioni che non mancano anche dopo anni…”
Il dorso della croce, invece, è stato ritagliato da un tavolo di legno usato per i letti delle celle fra il materasso e la rete e “ rivela", spiega suor Catherine, particolari a cui non si pensa mai. Ci hanno dormito uomini arrestati, condannati, forse anche innocenti; uomini che hanno pianto, pregato, provato il rimorso e il pentimento, uomini che hanno passato notti in bianco e alcuni di loro sono morti. Ecco, alla croce è stato dato nome “Voci dal silenzio” e esprime una convinzione: come per Gesù, questa sofferenza non va perduta, ma trasformata, trasfigurata e redenta”.
I detenuti ascoltano suor Catherine, ascoltano fra Fabio, che guida la celebrazione e padre Erik, che introduce ogni stazione. E parlano, proponendo meditazioni, in parte originali, in parte mutuate da analoghe celebrazioni, commentandole: “Le sentiamo assolutamente nostre…”
Vincenzo Varagona
C’è un condannato all’ergastolo: “La mia crocifissione, confessa, è cominciata da bambino, emarginato e bullizzato…” E poi, i genitori cui hanno ucciso una figlia: “Non troviamo pace, ma quando la disperazione prende il sopravvento, il Signore, in modi diversi, ci viene incontro e ci prende per mano".
Un altro detenuto racconta come vedeva il carcere da fuori, “un cimitero di morti viventi” e come, improvvisamente, è stato costretto a viverlo da dentro “da paese straniero è diventato la mia casa, in cui ho costretto a entrare anche i miei genitori…”
C’è poi la mamma di un detenuto: “Da quel giorno l’intera famiglia è entrata in prigione con lui". E una figlia: “A chi mi chiede cosa provo per le vittime di mio padre rispondo che la prima vittima sono stata io".
Un ospite di Fossombrone in chiusura prende la parola: “Una delle sofferenze peggiori è la cesura nei rapporti con i figli, un percorso doloroso che ultimamente siamo riusciti a recuperare. Mia figlia dice che è successo grazie all’amore di Dio".
Vincenzo Varagona
Alla fine detenuti, volontari, si riuniscono per un’ultima preghiera attorno alla croce costruita da Nicola. Al direttore, Orazio Sorrentino, il ringraziamento comune per avere consentito e anche incoraggiato questo momento ad altissima intensità, animato liturgicamente da un gruppo del Rinnovamento nello Spirito.
In questa struttura ormai secolare, costruita a forma di croce greca, risuona un altro passaggio del messaggio di don Desirè: “Non sono solo i detenuti a lavorare su se stessi, perché anche chi ha la libertà fisica è opportuno trovi il modo e il momento di valutare se non sia schiavo, detenuto di altre prigioni, come quelle interiori, morali, ideologiche".