Il vicepresidente della Cei e arcivescovo di Modena-Nonantola Erio Castellucci - Agenzia Romano Siciliani
L’immagine più chiara ed efficace è quella del cammino da fare insieme. Nel senso che il Sinodo sulla sinodalità è finito ma in realtà continua. Lo stesso Documento conclusivo approvato sabato scorso deve diventare strumento di vita vissuta coinvolgendo tutti, recita il testo, in un percorso condiviso di consultazione e discernimento. Significa che «si continuerà a lavorare a diversi livelli – spiega il vicepresidente della Cei monsignor Erio Castellucci arcivescovo di Modena-Nontantola, vescovo di Carpi e presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale –. Il primo è quello delle diocesi. Ci sono tanti spunti ed esperienze cristallizzati nel Documento finale, un testo che non è nato semplicemente dal lavoro di qualche settimana, ma è maturato in questi tre anni e che ora avendo annunciato il Papa che non ci sarà alcuna esortazione apostolica, diventa il testo da consegnare alle Chiese locali. E poi c'è il livello dei gruppi di studio che continuerà a lavorare sui temi sinodali, alcuni molto impegnativi per l'intera Chiesa».
I commenti si sono concentrati soprattutto sulle donne.
Il tema delle donne diacono è importante, ma potrà riguardare eventualmente solo una piccolissima minoranza, invece quello delle donne in quanto tali, riguarda tutti e tutte. Il Papa ci sta dando degli esempi mettendo presenze femminile in ruoli di governo nella Chiesa. Bisognerà superare diverse mentalità un po’ arroccate e aprire le diocesi, le parrocchie, a questa prospettiva.
La parola chiave emersa al termine dei lavori è armonia, armonia delle differenze.
Sì, è stata usata l'immagine molto cara ai cristiani d'Oriente della Chiesa come sinfonia, del Sinodo come armonia, per indicare che la Chiesa non è né una uniformità, un solo tono, un solo strumento, un solo spartito e neanche un’anarchia ma vi si trova una confluenza delle diversità così come l'inverso. Cioè il fatto che, come a Pentecoste, una sola lingua può venire udita nelle lingue di tutti. Bisogna cercare di individuare quelle diversità che non possono essere accolte, perché creano solamente divisione, ma soprattutto quelle, e sono molte, che creano ricchezza e quindi vanno recepite.
Al Sinodo si è parlato anche della necessità di superare certe rigidità che caratterizzano la vita della Chiesa. C’è, a suo modo di vedere, uno scollamento tra vertici e base?
Credo che oggi lo scollamento sia non tanto verticale, con i vertici da una parte e dall'altra il popolo santo, ma trasversale, con delle guide, peraltro non tante, che si sono arroccate su posizioni nostalgiche, indietriste, dice papa Francesco, allergiche e anche pesantemente critiche nei confronti di qualsiasi cambiamento. Una posizione che però non è esclusiva di alcuni vescovi o preti ma trova posto abbondantemente anche nella gente semplice, che non riesce a distinguere tra le proposte di vera tradizione di Chiesa e quelle di stampo tradizionalistico, che invece impediscono qualsiasi cambiamento.
La sfida riguarda sia pastori che laici, insomma. Non a caso Sinodo vuol dire camminare insieme.
Alcuni meccanismi da sbloccare sono stati individuati sia nel Sinodo generale che nel Cammino italiano e riguardano la prospettiva di una missione più snella. A grande voce tutte le persone che hanno partecipato al primo anno della proposta sinodale hanno chiesto una formazione più adatta a tutti, cioè non per alcuni specialisti ma che passi attraverso esperienze fatte insieme, con creatività, momenti di servizio, testimonianze. Un’iniziazione cristiana ripensata in n modo meno scolastico e più esperienziale. Un secondo nucleo, secondo me, da sbloccare è quello della partecipazione ai processi decisionali nella Chiesa.
Una svolta importante.
Attualmente, tutti gli organismi di partecipazione sono consultivi, cioè si danno dei consigli ma poi chi deve decidere, i parroci, i vescovi, è libero di farlo autonomamente. Su questo tema il Sinodo ha messo a punto dei percorsi, c'è una Commissione per questo, di maturazione. Nel senso che l’aspetto consultivo e quello a deliberativo si devono intrecciare. E questo comporterà anche il coinvolgimento delle donne, che sono parte del mondo laicale, anzi la maggior parte. Un passaggio molto più importante di quello che sembra, perché metterà a disposizione la sensibilità e l'intelligenza femminile delle decisioni della Chiesa che oggi spesso appaiono molto maschili e poco integrate nella vita comunitaria.
Un altro aspetto riguarda molto il nostro Paese.
Sì, il problema della gestione delle strutture, che riguarda le Chiese di antica cristianità o di post-cristianità. Abbiamo strutture materiali, pastorali, mentali, burocratiche che sono ritagliate sui tempi della cristianità quando, probabilmente in modo più ipotetico che reale, c'era una buona saldatura tra la Chiesa e la società, sia dal punto di vista culturale che operativo. Adesso quel legame non c'è più. Però ci restano le strutture, comprese quelle materiali che ci stanno crollando addosso. E che oltretutto agiscono da fumo negli occhi, perché danno l’idea che la Chiesa sia molto ricca mentre invece spesso rappresentano solo costi, di manutenzione e di restauro senza portare benefici pastorali.
A proposito delle Chiese in Italia siamo alla vigilia di un appuntamento importante, quello della prima Assemblea sinodale, che si svolgerà dal 15 al 17 novembre in San Paolo fuori le Mura, a Roma.
Sì, per noi è questa la fase finale del Cammino sinodale, che poi sarà, speriamo, la fase iniziale di un rinnovamento. Raccogliamo i frutti di questi anni, vissuti sempre in contatto, anzi il primo proprio in osmosi con il Sinodo generale. Li raccogliamo attorno ad alcuni elementi specifici per l'Italia che sono in gran parte condivisi. Il fatto che il Papa abbia deciso di non scrivere un'Esortazione apostolica consegnando alle diocesi il Documento approvato sabato ci facilita molto, perché ci dà già dei punti di riferimento fermi. Poi noi dovremmo procedere anche considerando le peculiarità dell'Italia. Per esempio dovremmo tenere conto che da noi il 95% della formazione attualmente riguarda i bambini e i ragazzi, cioè l'iniziazione cristiana in preparazione ai sacramenti, però aprendoci al discorso degli adulti, dei giovani. Un altro tema, quello dei ministeri femminili e maschili, in Italia è abbastanza consolidato, ma anche a rischio clericalismo; quindi, dovremmo vedere come collocarlo dentro un orizzonte missionario che non sia solo al servizio di una conservazione che vorremmo superare ma di una Chiesa più estroversa, più in uscita, come dice il Papa. Inoltre, ripeto, la questione delle strutture, abbastanza specifico per noi, intrecciando la legislazione concordataria con quella italiana che assegna al responsabile pastorale della Comunità, il parroco, anche la responsabilità legale.
Tornando ai calendari, dopo quella del 15-l 17 novembre, dal 31 marzo al 4 aprile si terrà la Seconda assemblea sinodale.
A novembre si partirà dai i Lineamenti che sono già stati distribuiti e che inquadrano i temi che dovranno essere trasformati durante l'Assemblea in uno strumento di lavoro consegnato alle diocesi, che avranno tre mesi per integrarlo con osservazioni e proposte. Nell’Assemblea di fine marzo e inizio aprile verranno discusse e votate le proposizioni cui i vescovi daranno forma definitiva nell'Assemblea generale di maggio, così da diventare orientative e normative per le Chiese italiane.
Ma se lei dovesse riassumere il bello del Sinodo appena concluso, il segno da cui si è sentito maggiormente arricchito?
Direi il contatto quotidiano per un mese con uomini e donne, vescovi, laici, papà, mamme, religiosi, religiose di tutto il mondo, la possibilità di ascoltare la testimonianza di Chiese tra loro diversissime, realizzando l’immagine di una sinfonia, fatta di note, strumenti, voci, spartiti che apparentemente non sono legati. Chiese in situazioni di guerra, Chiese di territori dove i cattolici sono un'infima minoranza, dove i credenti non possono esprimere la loro fede. Eppure il concerto, la sinfonia, era segnato dalla gioia di essere cristiani, dalla bellezza del credere, dalla possibilità di vivere la carità verso i fratelli e le sorelle, anche quelli di altre fedi o di nessuna religione. Dove da noi spesso prevale la noia o la nostalgia, là si vive la gioia di essere lievito, piccole comunità ma creative.