Un porto del Nord Africa che si affaccia sul Mar Mediterraneo
Arriveranno a Bari da almeno venti Paesi e da tre continenti: Europa, Asia e Africa. Sono cardinali, vescovi, patriarchi delle Chiese che si affacciano sul Mediterraneo. Forse cento, anche se la cifra è ancora ipotetica e prematura. Tutti cattolici, a rappresentare le comunità ecclesiali che insistono intorno a quel teatro di prossimità, di scambi o di prevaricazioni definito da Giorgio La Pira il «grande lago di Tiberiade». Proprio il sindaco “santo” di Firenze, ideatore dei “Colloqui mediterranei” di cui nel 2018 si sono celebrati i 60 anni, ha ispirato l’Incontro di riflessione e spiritualità per la pace promosso dalla Cei con il “beneplacito” di papa Francesco che si terrà nel capoluogo pugliese dal 19 al 23 febbraio 2020. Una sorta di “Sinodo” mediterraneo destinato a coinvolgere tutte le Chiese rivierasche: dal Nord Africa a Italia, Francia e Spagna; dal Medio Oriente ai Balcani passando per Malta e Cipro.
Già definito il titolo: “Mediterraneo, frontiera di pace”. A suggerire il motto quanto aveva detto Francesco a Bari incontrando lo scorso 7 luglio i capi delle comunità cristiane del Medio Oriente. «Il termine “frontiera” è una parola chiave per capire il Mediterraneo», spiega il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti. Non intesa, però, come separazione, bensì come «inizio», «spirito di frontiera» che consente «di andare oltre l’esistente, di cogliere le sfide», dice il porporato di fronte al comitato scientifico e organizzatore che si è riunito per la prima volta nei giorni scorsi nella sede romana della Conferenza episcopale italiana. Da prete di origini fiorentine, Bassetti ha lanciato l’iniziativa e ne ha fatto uno dei “sigilli” della sua presidenza Cei cominciata quasi due anni fa. «Dobbiamo osare la pace attraverso un’esperienza sinodale – afferma –. Abbiamo sperimentato, alla luce della storia, che non c’è pace senza Mediterraneo. Questo mare unisce e divide il mondo. E coloro che soffrono di più per queste divisioni sono i poveri: bastano le cronache degli ultimi anni a dimostrarlo». Allora, aggiunge, «una grave responsabilità per la pace incombe su noi cristiani e su tutti gli uomini di buona volontà». Quindi cita un altro fiorentino, padre Ernesto Balducci, per evidenziare che «se lasciamo che il futuro venga da sé, nessun futuro ci sarà concesso» e che c’è bisogno di «andarci incontro l’un l’altro con le mani colme di diverse eredità» e di «stringere tra noi un patto che stabilisca la comunione creaturale». Ecco perché, avverte il cardinale, «la nostra proposta non può essere omologata a un convegno o a un corso di aggiornamento».
Sarà «un cammino aperto», sottolinea il segretario generale della Cei, Stefano Russo, vescovo di Fabriano-Matelica. L’evento di Bari intende essere il «punto di partenza» ma al tempo stesso la «fase conclusiva di un itinerario che coinvolgerà l’intera Chiesa italiana», osserva. L’impegno è «sentire le voci e le speranze delle Chiese del Mediterraneo». Russo annuncia che il percorso verso febbraio 2020 prevede la stesura di un documento di lavoro da inviare alle comunità cattoliche dell’area, il recepimento dei contributi delle diverse Chiese e l’elaborazione di un testo di sintesi da affidare agli episcopati locali.
Il “meeting” avrà al centro «l’ascolto e lo scambio fraterno» con l’intento di «comprendere quale contributo le nostre Chiese possano e debbano offrire nel bacino dove ci è dato di vivere», ribadisce il vescovo di Acireale e vice-presidente della Cei per l’Italia meridionale, Antonino Raspanti, coordinatore del comitato. Che spiega la genesi dell’evento. «In possesso di una lunga esperienza nel campo delle missioni, del dialogo ecumenico e interreligioso, del sostegno caritativo, delle migrazioni, la Chiesa italiana ha maturato l’esigenza di un incontro con le Chiese sorelle in comunione con il Papa per condividere le diverse sensibilità, ricchezze e fragilità che ricevono dalla tradizione di ascolto del Vangelo nei propri territori, e per rafforzare le aspirazioni e i progetti che nutrono, non tradendo l’appello che l’umanità mediterranea lancia loro». A fare da sfondo alcune domande: come si costruisce una convivenza solidale? Come vincere la violenza, la povertà, gli egoismi? «Il primo passo – chiarisce Raspanti – è la conversione. Siamo chiamati a confessare il peccato che storicamente si è configurato nelle divisioni dei cristiani che hanno assecondato le contrapposizioni». Nelle giornate di Bari si parlerà dello «stato delle Chiese in ordine alla vita di fede, dei rapporti con gli altri credenti ma anche con lo Stato e la società». In particolare, dovrà scaturire il «contributo delle Chiese per aiutare i vari popoli a ravvivare lo sviluppo sociale, a modificare gli assetti di ingiustizia e iniquità, a promuovere un’azione comune in ordine alla pace». Del resto, conclude Raspanti, «ogni aspetto della vita dell’uomo è tutt’uno con il Vangelo. E ci sta a cuore».
Il fenomeno delle migrazioni ma non solo. Nell’agenda dell’Incontro di riflessione e spiritualità che porterà a Bari nel 2020 i vescovi dei Paesi affacciati sul “Mediterraneo, frontiera di pace” entrerà l’attualità. Senza, però, che l’elemento contingente monopolizzi il confronto. «Quanto accade sulle coste del grande mare non può essere eluso, ma neppure deve schiacciare il dibattito», sottolinea Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei processi economici all’Università degli Studi di Milano che fa parte del comitato scientifico e organizzatore dell’appuntamento Cei. «Anche la questione migratoria può avere una doppia lettura – prosegue –: è fuga dalla miseria, ma anche cerniera fra i continenti». Ecco perché all’ordine del giorno ci sarà molto altro. Prima di tutto, la testimonianza del Vangelo nei venti Paesi da cui arriveranno i pastori, unita a uno sguardo sulla presenza ecclesiale nei rispettivi territori. Poi spazio alla tutela della dignità umana, al dialogo ecumenico e interreligioso, all’accoglienza, allo sviluppo delle nazioni più fragili, alla cooperazione. A fare da sfondo i drammi della povertà e delle guerre che evocano un impegno concreto per la pace, vero baricentro dell’iniziativa. Il tutto in un’ottica di «discernimento ecclesiale e di ascolto reciproco», afferma Marco Giovannoni, docente di storia della Chiesa all’Istituto superiore di scienze religiose della Toscana. «Sono falliti – osserva lo studioso – i vari tentativi compiuti recentemente dalla comunità internazionale di risolvere i problemi del Mediterraneo. E la Chiesa, dal momento che ha radici mediterranee, può offrire un contributo fondamentale». Mario Primicerio, presidente della Fondazione La Pira a Firenze, parla di un Incontro che «ha qualcosa di profetico» perché il mare che tocca Europa, Africa e Asia «è un laboratorio d’incontro».
Fa parte del comitato Cei anche Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni. «Il Mediterraneo, pensato come unica comunità di circa 500 milioni di persone, rappresenta il 7% della popolazione globale e produce il 10% del Pil mondiale – spiega l’ad –. Al suo interno si trovano però divergenze come la sponda Nord che produce sette volte il Pil della sponda Sud. L’evento di Bari vuole in qualche modo riavvicinare queste due sponde». Aggiunge Adriano Roccucci, docente di storia contemporanea all’Università Roma Tre che rappresenta la Comunità di Sant’Egidio: «L’iniziativa nasce dalle domande laceranti che emergono dalla storia. Il Mediterraneo è crocevia fra Nord e Sud, fra Occidente e Oriente. È un bacino ancora segnato dai conflitti, come quelli israelo-palestinese, libico o siriano, verso i quali i cristiani possono essere segno di riconciliazione».
Definisce il grande mare un «luogo teologico» Giuseppina De Simone, coordinatrice del biennio di specializzazione in teologia fondamentale alla sezione “San Luigi” di Napoli della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale. È il polo che visiterà papa Francesco il 21 giugno partecipando a un convegno dedicato proprio al Mediterraneo. «Uno spazio di contaminazioni – nota De Simone – in cui le peculiarità di ogni Chiesa sono una risorsa. È quanto deve scaturire dall’Incontro del 2020: per i discepoli di Cristo, l’alterità non è fonte di paura ma di arricchimento vicendevole». E Thibault Yves Joannais, della Fondazione Giovanni Paolo II per la cooperazione in Medio Oriente, invita ad ascoltare il grido dei pastori della riva sud «che ripetono: non riusciamo ad avere una prospettiva del domani».
La struttura delle cinque giornate a Bari, dal 19 al 23 febbraio 2020, è ancora allo studio. I lavori saranno a porte chiuse, ma sono in cantiere momenti di preghiera a cui chiunque potrà partecipare. E una giornata dovrebbe essere aperta a tutti, in una sorta di abbraccio fra i vescovi e il “mondo”. «Vogliamo privilegiare la dimensione sinodale, evitando un approccio da un simposio accademico», chiarisce Andrea Possieri, ricercatore di storia contemporanea all’Università degli Studi di Perugia. E monsignor Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, fa sapere: «Siamo chiamati a capire le diversità. E al tempo stesso ad affrontare le questioni dell’oggi: sarebbe terribile non prenderle in considerazione, rimandandole alle generazioni future».
La scelta del capoluogo pugliese come sede del “meeting” è spiegata dall’arcivescovo di Bari-Bitonto, Francesco Cacucci. «L’iniziativa si inserisce sulla scia della traslazione delle reliquie di san Nicola e dell’incontro dello scorso 7 luglio fra papa Francesco e i capi delle comunità cristiane del Medio Oriente. Se san Nicola è riferimento per Oriente e Occidente, la città di Bari ha una speciale vocazione mediterranea, ci aveva detto Giovanni Paolo II». E il rettore della Basilica di San Nicola, il domenicano padre Giovanni Distante, suggerisce: «Come cristiani siamo tenuti all’apostolato della pace». L’Incontro sarà accompagnato da una serie di eventi satellite e coinvolgerà le diocesi italiane che hanno legami con i Paesi rivieraschi. «Non sarà solo un appuntamento ad intra», afferma don Giovanni De Robertis, direttore generale di Migrantes, che esorta a costruire una «visione mediterranea radicata nel Vangelo». «Si presti attenzione ai giovani», consiglia Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l'università. E don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, sprona a «essere Chiesa che sa comprendere i confini».