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In questo contesto le parole del Papa, in particolare le sue encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, e l’attività diplomatica della Santa Sede, sono tenute in grande considerazione dai grandi e piccoli Paesi del globo. Ne fa fede anche il continuo affluire nel Palazzo Apostolico di capi di Stato e di governo da ogni continente. Significativa e apprezzata è in particolare l’azione vaticana nel campo del multilaterale, ritenuta imprescindibile per una soluzione equa dei conflitti. Nel campo delle relazioni bilaterali la Santa Sede intrattiene ormai pieni rapporti diplomatici con quasi tutti gli Stati dell’orbe.
Nel 1900 questi Paesi erano appena una ventina, 49 nel giugno 1963, mentre nell’agosto 1978 ammontavano già a 89 e nel 2005 erano 174. Con Benedetto XVI so- no arrivati a 180 e con papa Francesco sono diventati 183 (più Unione Europea e Ordine di Malta). Gli ultimi Stati ad allacciare pieni rapporti con Oltretevere sono stati il neonato Sud Sudan (2013), la Mauritania (2016) e Myanmar (2017).
Nel 2016 poi le “relazioni speciali” intrattenute con lo Stato di Palestina – definito così ufficialmente dalla Santa Sede successivamente alla risoluzione Onu 67/19 del novembre 2012 che gli ha concesso lo status di osservatore permanente – sono diventati rapporti diplomatici a pieno titolo dopo l’entrata in vigore dell’Accordo globale firmato nel giugno 2015. Tra i Paesi con cui la Santa Sede ha rapporti diplomatici c’è anche la Cina-Taiwan dove però dal 1979 non risiede più un nunzio, ma un semplice “incaricato d’affari ad interim”. Nei colloqui in corso con la Cina che hanno portato allo storico Accordo provvisorio e parziale sulle nomine episcopali del settembre 2018, rinnovato per un ulteriore biennio nell’ottobre 2020, non sembra sia stata ancora affrontata la questione dei rapporti diplomatici. Anche se alla Santa Sede non dispiacerebbe poter aprire un ufficio informale a Pechino. Nel frattempo una rappresentanza risiede stabilmente nella cosiddetta “missione di studio” a Hong Kong, che figura formalmente collegata alla nunziatura delle Filippine (nell’Annuario Pontificio viene comunque indicato, in nota, il recapito reale di questa “missione”). La Santa Sede non intrattiene ancora relazioni con dodici Stati, perlopiù asiatici e in buona parte a maggioranza islamica. In otto di questi Paesi non è presente nessun inviato vaticano (Afghanistan, Arabia Saudita, Bhutan, Cina popo-lare, Corea del Nord, Maldive, Oman, Tuvalu).
Mentre sono in carica dei delegati apostolici (rappresentanti pontifici presso le comunità cattoliche locali ma non presso i governi) in altri quattro Paesi: Comore, Somalia, Brunei e Laos. Un caso particolare è quello del Vietnam, dove dal 2011 viene nominato un rappresentante vaticano non residenziale, in attesa di installare una nunziatura stabile ad Hanoi. Per quanto riguarda il Kosovo, il cui riconoscimento avverrà quando il suo status internazionale sarà meno controverso, la Santa Sede si è per ora limitata a nominare un delegato apostolico nella persona del nunzio in Slovenia.
Negli ultimi anni poi si sono moltiplicate le nomine di “incaricati d’affari” stabilmente residenti in Paesi che non ospitano nunzi. In Africa e Medio Oriente, ma non solo. Ad esempio a Timor Est, in Ciad, Gabon, Malawi, Sud Sudan, e poi a Cipro e negli Emirati arabi uniti. In Giordania è prevista la nomina di un nunzio residente (prima la sede era legata a quella di Baghdad). Attualmente sono una novantina le cancellerie di ambasciate con sede a Roma. I Paesi rimanenti sono rappresentati in genere da diplomatici residenti in altre capitali europee. Con papa Francesco sono diventati residenti gli ambasciatori “non residenti” di Armenia, Belize, Ghana, Palestina, Malaysia e Sud Africa. L’Azerbaigian e la Svizzera presto si aggiungeranno a questo elenco.