Claudio Hummes - .
«Dedico la mia porpora a Hélder Câmara e Luciano Mendes de Almeida: il Concistoro si è svolto nell’anniversario della loro morte e spero che l’esempio di questi due grandi pastori e profeti brasiliani possa guidarmi. Ovviamente in quel momento ho pensato anche a Claudio Hummes, recentemente scomparso, pilastro della Chiesa d’Amazzonia ». Nonostante i mille impegni romani, dom Leonardo Steiner, arcivescovo di Manaus, non ha perso il suo tratto distintivo: non nega mai una conversazione o un saluto a chi gli si accosta, rispondendo in perfetto italiano. «È una lingua che mi è molto cara. I missionari italiani hanno svolto un lavoro straordinario in Amazzonia. E continuano a farlo». Il neo «cardinale della foresta», come affettuosamente l’hanno soprannominato gli amici, è il primo porporato della Chiesa amazzonica. E proprio di quest’ultima, oltre i confini del colosso brasiliano, si sente rappresentante il teologo francescano, seppure nato nel Sud del Gigante, a migliaia di chilometri dalla selva. «Con la mia nomina, papa Francesco ha voluto mostrare ancora una volta la sua vicinanza e il suo affetto tanto profondo alla “cara Amazzonia”», dice dom Leonardo. E aggiunge: «Dunque non sarò io la voce dell’Amazzonia nella Chiesa universale. Lo è già il Santo Padre! Mi impegno, invece, a compiere ogni sforzo affinché le parole del Papa risuonino con forza nella regione. Il suo magistero, profondamente e autenticamente conciliare, è un dono per tutti i discepoli e le discepole».
Eminenza, la sua designazione cade nell’anno del 50° anniversario del Documento di Santarém da cui è partito il lungo processo che ha portato a Querida Amâzonia, passando per il Sinodo. Come procede il cammino della Chiesa d’Amazzonia?
Il Documento di Santarém ha inaugurato la stagione del post-Concilio in Amazzonia, contribuendo alla costruzione di una Chiesa incarnata e liberatrice. Un cammino proseguito con il Sinodo e l’Esortazione. Ora, la mia nomina è un ulteriore stimolo per andare avanti nell’edificazione di una Chiesa sinodale e missionaria, nel solco dei quattro sogni espressi dal Papa in Querida Amâzonia. Tratti, per altro, profondamente radicati nelle nostre comunità ecclesiali in cui la responsabilità dell’evangelizzazione è condivisa da tutti i battezzati. Un protagonismo figlio delle condizioni peculiari di queste terre che, però, è diventato scelta consapevole. Che cosa intende? Le faccio un esempio. Nella mia diocesi, ci sono mille comunità e appena 172 preti. Alcune realtà, dunque, possono celebrare l’Eucaristia solo due volte l’anno. A tenere vivo il Vangelo nella comunità sono i laici. Una necessità che, però, nel tempo, ha dato luogo a un’acquisizione di consapevolezza da parte di questi ultimi della loro responsabilità di battezzati.
Come prosegue il cammino del Sinodo in Amazzonia?
Uno snodo fondamentale è stata la creazione della Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia, il 29 giugno 2020 che ora è il motore del percorso.
Manaus, capitale dell’Amazzonia, è stata il tragico epicentro della pandemia in Brasile e nella regione. Crede che la scelta di papa Francesco sia anche un tributo alla sofferenza della sua diocesi?
Manaus ha patito molto. Eppure non ho mai visto così tanta solidarietà spontanea fra le persone, in gran parte povere e poverissime, come nei giorni più duri della pandemia. In quei mesi di dolore, il Santo Padre mi ha telefonato pregandomi di esprimere la sua vicinanza alle persone. E questo è stato per loro un conforto unico. Con la mia designazione, il Papa ancora una volta ci ha dimostrato attenzione. Quando c’è stato l’annuncio, tanti mi hanno fermato per dirmi: “Francesco non ha dimenticato l’Amazzonia”.
Una regione vitale quanto ferita. Com’è la situazione attuale?
Difficile, tanto difficile. La violenza dei cacciatori di risorse aumenta giorno dopo giorno. Il mercurio utilizzato nella ricerca dell’oro avvelena i fiumi e il sangue degli indigeni. La deforestazione cresce. E, purtroppo, il governo si volta dall’altra parte.