Il Papa all'Angelus in piazza San Pietro - Ansa
Ci vuole molto più coraggio a fare la pace che la guerra. Il Papa è tornato a chiedere con forza la fine dei conflitti che insanguinano il mondo. Lo ha fatto a margine dell’Angelus, nel decimo anniversario, che ricorreva sabato scorso, «dell’Invocazione della pace in Vaticano, alla quale erano presenti il compianto presidente israeliano Shimon Peres, e quello palestinese, Abu Mazen. Quell’incontro – ha aggiunto il Pontefice affacciato dal Palazzo apostolico in piazza San Pietro - ci testimonia che stringersi la mano è possibile, e che per fare la pace ci vuole coraggio, molto più coraggio che per fare la guerra. Pertanto – ha aggiunto Francesco - incoraggio i negoziati in corso tra le parti, anche se non sono facili, ed auspico che le proposte di pace, per il cessate-il-fuoco su tutti i fronti e per la liberazione degli ostaggi, vengano subito accettate per il bene dei palestinesi e degli israeliani». A tal proposito, l’11 giugno in Giordania si terrà una conferenza internazionale sulla situazione umanitaria a Gaza, convocata dal re di Giordania, dal presidente dell’Egitto e dal segretario generale delle Nazioni Unite. «Mentre li ringrazio per questa importante iniziativa – ha sottolineato il Papa - incoraggio la comunità internazionale ad agire urgentemente, con ogni mezzo, per soccorrere la popolazione di Gaza stremata dalla guerra. Gli aiuti umanitari devono poter arrivare a chi ne ha bisogno, e nessuno lo può impedire». Ma lo sguardo sul conflitto mediorientale non deve far dimenticare «il martoriato popolo ucraino, che più soffre e più anela alla pace». Vi siamo vicini, ha aggiunto il Pontefice salutando gli insegnanti del Ginnasio “San Giovanni Paolo II” di Kiev incoraggiati «nella loro missione educativa in questo tempo così difficile e doloroso».
Fedeli ucraini sventolano la bandiera del loro Paese - Ansa
La catechesi
In precedenza, commentando il Vangelo del giorno, Francesco aveva evidenziato come Gesù, proprio perché «predicava e guariva i malati con la forza dello Spirito Santo», fosse un uomo «divinamente» libero, cioè «capace di amare e servire senza misura e senza condizionamenti». Cristo era «libero di fronte alle ricchezze, libero di fronte al potere, libero di fronte alla ricerca della fama» e per questo «non ha mai rinunciato a dire la verità, anche a costo di non essere compreso, di diventare impopolare, fino a morire in croce, non lasciandosi intimidire, né comprare, né corrompere da niente e da nessuno».
Ma questa condizione di libertà totale è un richiamo per ciascuno di noi. Infatti, ha aggiunto Francesco, «se ci facciamo condizionare dalla ricerca del piacere, del potere, dei soldi o dei consensi, diventiamo schiavi di queste cose. Se invece permettiamo all’amore gratuito di Dio di riempirci e dilatarci il cuore, e se lo lasciamo traboccare spontaneamente ridonandolo agli altri, con tutto noi stessi, senza paure, calcoli e condizionamenti, allora cresciamo nella libertà, e diffondiamo il suo buon profumo anche attorno a noi». Di qui l’invito a porsi con sincerità la domanda: io sono una persona libera? «Oppure mi lascio imprigionare dai miti del denaro, del potere e del successo, sacrificando a questi la serenità e la pace mia e degli altri?».