Un momento della Veglia in San Pietro - Siciliani
Una grande richiesta di perdono, «provando vergogna», per tutti i peccati. E specialmente per quelli particolarmente attuali contro la pace, l’ambiente e le donne, contro i poveri, i migranti e la sinodalità. E poi per i peccati di abuso sessuale e di autorità, e per quelli derivanti dall’impugnare in modo distorto la dottrina. È la Veglia penitenziale voluta e guidata da papa Francesco alla vigilia dell’apertura del la seconda sessione del Sinodo sulla sinodalità. Siamo nella Basilica Vaticana. Partecipano al rito i membri dell’Assemblea sinodale, e poi giovani e fedeli della diocesi di Roma.
Dopo la lettura di un brano del Libro di Isaia, ci sono le testimonianze e le richieste di perdono. Poi la lettura del Vangelo di Luca con la parabola del fariseo e del pubblicano. Le testimonianze sono tre. Tutte toccanti. C’è Laurence, residente in Germania e abusato in Sudafrica quando aveva 11 anni, che accusa la Chiesa di mancanza di trasparenza e responsabilità, di insabbiamenti. Poi c’è Sara Vatteroni, direttrice regionale per la Toscana della Fondazione Migrantes che, accompagnata dall’ivoriana Solange, parla del dramma dei migranti. Infine suor Deema Fayyad, siriana, della comunità fondata da padre Paolo Dall’Oglio, che racconta la terribile esperienza della guerra che sta martoriando le sue terre.
Le testimonianze e le richieste di perdono sono inframezzate dal canto dei Salmi Misericordia Domini in aeternum cantabo e Miserere mei Domini. Le richieste di perdono sono sette. Scritte dal Papa ma recitate da altrettanti cardinali. L’arcivescovo di Bombay in India Oswald Gracias dà la sua voce per denunciare la mancanza «del coraggio necessario alla ricerca di pace tra i popoli e le nazioni, nel riconoscimento dell’infinita dignità di ogni vita umana in tutte le sue fasi, dallo stato nascente alla vecchiaia, soprattutto i bambini, gli ammalati, i poveri, del diritto di avere un lavoro, una terra, una casa, una famiglia» e poi per il peccato «ancora più grave» di chi giustifica la guerra invocando il nome di Dio. Il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per lo sviluppo umano integrale, dà voce alla richiesta di perdono , «provando vergogna», per «quello che anche noi fedeli abbiamo fatto per trasformare il creato da giardino a deserto, manipolandolo a nostro piacimento» e poi per lo sfruttamento delle «popolazioni indigene», per essere stati complici di sistemi che hanno favorito «la schiavitù e il colonialismo», per partecipare alla «globalizzazione dell’indifferenza» di fronte alle «tragedie» dei migranti che muoiono in mare. Il cardinale statunitense Sean O’Malley dà voce alla richiesta di perdono, «provando vergogna», per «gli abusi di coscienza, abusi di poteri e abusi sessuali» che macchiano la Chiesa, e «per tutte le volte che abbiamo usato la condizione del ministero ordinato e della vita consacrata per commettere questo terribile peccato, sentendoci al sicuro e protetti mentre approfittavamo diabolicamente dei piccoli e dei poveri». Il cardinale Kevin J. Farrell, prefetto del Dicastero per i laici , la famiglia e la vita, dà voce alla richiesta di perdono «a nome di tutti nella Chiesa, soprattutto noi uomini, provando vergogna per tutte le volte che non abbiamo riconosciuto e difeso la dignità delle donne, per quando le abbiamo rese mute e succubi, e non poche volte sfruttate, specie nella condizione della vita consacrata», e poi per non aver aiutato i giovani che non trovano «un lavoro dignitoso» e «un giusto salario», e per preferire la vendetta alla giustizia anche con l’«uso della pena di morte». Il cardinale salesiano Cristobal Lopez Romero, arcivescovo di Rabat, dà voce alla richiesta di perdono «provando vergogna, per quando abbiamo girato la testa dall’altra parte di fronte al sacramento del povero e per l’inerzia che ci trattiene dall’accogliere la chiamata a essere Chiesa povera dei poveri e che ci fa cedere alla seduzione del potere», e per l’«autoreferenzialità» ecclesiale. Il cardinale Victor M. Fernandez, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, dà voce alla richiesta di perdono «per non essere stati capaci di custodire e proporre il Vangelo come fonte viva di eterna novità, forse “indottrinandolo” e rischiando di ridurlo a un cumulo di pietre morte da scagliare contro gli altri», per «aver dato giustificazione dottrinale e trattamenti disumani», e per aver ostacolato «le diverse legittime inculturazioni della verità di Gesù Cristo». Infine il cardinale Christoph Schonborn, arcivescovo di Vienna, dà la voce per la richiesta di perdono «provando vergogna, per gli ostacoli che frapponiamo all’edificazione di una Chiesa veramente sinodale, sinfonica, consapevole di essere popolo santo di Dio che cammina insieme riconoscendo la comune dignità battesimale», per «non aver ascoltato lo Spirito Santo, preferendo ascoltare noi stessi, difendendo opinioni e ideologie che feriscono la comunione in Cristo di tutti», e per «aver trasformato l’autorità in potere, soffocando la pluralità».
La Veglia penitenziale si chiude con le parole del Papa. Francesco spiega di «aver voluto scrivere le richieste di perdono che sono state lette da alcuni cardinali perché era necessario chiamare per nome e cognome i nostri principali peccati, che noi nascondiamo o che chiamiamo con parole troppo educate». «Come potremmo essere credibili nella nostra missione se non riconosciamo i nostri errori e non ci chiniamo a curare le ferite che abbiamo provocato con i nostri peccati?», si chiede. «Non potremmo invocare il nome di Dio senza chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle, alla Terra a tutte le creature», aggiunge. E ribadisce che «alle vigilia dell’Assemblea del Sinodo la confessione è un’occasione per ristabilire fiducia nella Chiesa e nei suoi confronti, fiducia infranta dai nostri peccati, e per cominciare a risanare le ferite che non smettono di sanguinare». Rivolgendosi in particolare ai giovani chiede perdono anche a loro «se non siamo stati testimoni credibili». Infine lo scambio della pace del Papa con gli autori delle testimonianze e poi con un ragazzo, una ragazza, un seminarista e ad una suora missionaria. A questi ultimi Francesco consegna un Vangelo.