mercoledì 24 agosto 2022
Parla l’arcivescovo di Hyderabad, che sabato sarà creato cardinale da papa Francesco. «Nella nostra missione puntiamo su catechismo e istruzione per dare un futuro ai giovani con meno mezzi»
L’arcivescovo indiano Antony Poola, che sabato diventerà cardinale

L’arcivescovo indiano Antony Poola, che sabato diventerà cardinale - Collaboratori

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Un pastore abituato a camminare senza sosta per raggiungere chi è più emarginato e fragile, portare istruzione ai bambini poveri, responsabilizzare le donne e sradicare il lavoro minorile. Per l’arcivescovo Antony Poola, 61 anni, che sarà creato cardinale nel Concistoro di sabato prossimo, le strade polverose dell’India meridionale sono insieme la sua casa e la sua terra di missione. Originario della diocesi di Kurnool, nello Stato federato dell’Andhra Pradesh, era stato chiamato a guidare la sua stessa diocesi l’8 febbraio del 2008 dopo la morte di monsignor Johannes Gorantla, e dal 2020 è arcivescovo di Hyderabad.

La notizia della sua nomina il 29 maggio è stata accolta con grande entusiasmo perché segno che la Chiesa universale ha riconosciuto il bisogno del Sud dell’India di far sentire la sua voce; perché dopo la scomparsa del cardinale Duraisamy Simon Lourdusamy (morto il 2 giugno 2014) i fedeli sentivano il bisogno di un loro rappresentante; e perché sarà il primo cardinale di lingua telugu e origini dalit, termine con cui secondo il sistema sociale e religioso induista si indicano i “fuori casta”, cioè chi è considerato fuori da ogni gerarchia sociale.

Una peculiarità, questa, che rende ancora più intensa la sua missione di testimone di una Chiesa povera per i poveri. «Nonostante l’abolizione delle caste nel 1947, infatti, ancora oggi in India i dalit rappresentano una maggioranza sofferente della popolazione, vittima di emarginazione e abusi — spiega l’arcivescovo, futuro cardinale —. Il problema delle caste purtroppo esiste da sempre e non è colpa di nessuno. È uno stigma sociale. Per portare l’uguaglianza sono stati fatti molti sforzi, soprattutto grazie alla Chiesa. Eppure i cristiani dalit da più di 70 anni continuano ad essere vessati a causa della loro fede. Per questo facciamo appello al governo affinché possano essere rispettati come qualsiasi altro dalit indù».

In un contesto così martoriato gli strumenti privilegiati dall’arcivescovo Poola per annunciare la «Buona novella ai poveri» sono catechismo e istruzione, per dare ai giovani una formazione umana e al contempo garantirgli un futuro migliore. «La mia stessa vita è stata illuminata grazie all’istruzione ricevuta dai missionari — racconta —. Per questo dico che l’educazione è il miglior regalo che si possa fare ai bambini. Nella diocesi di Kurnool grazie al nostro aiuto alcuni giovani sono diventati insegnanti e altri oggi lavorano in aziende private».

Tra i progetti di edilizia scolastica e sostegno a distanza l’arcivescovo ricorda anche quelli realizzati con l’Opam (l’Opera di promozione dell’alfabetizzazione nel mondo) fondata 50 anni fa da monsignor Carlo Muratore, di cui ancora oggi segue le attività. Tra le sue priorità c’è poi il dialogo interreligioso per il quale «alla comunità cristiana va riconosciuto un ruolo importante di garante — spiega —. Cerchiamo di lavorare con tutti gli indù, i musulmani, i buddisti e gli altri gruppi religiosi per promuovere la pace e l’armonia nonostante alcuni gruppi fondamentalisti creino tensione nel Paese e il Parlamento abbia approvato un disegno di legge anticonversione nello Stato del Karnataka, il che è davvero molto triste. Noi infatti non convertiamo nessuno con la forza. E non è possibile convertire nessuno. Abbiamo grandi sfide davanti e dobbiamo lavorare amichevolmente per risolvere questi problemi».

D’altronde «papa Francesco dall’inizio del suo pontificato ha sempre parlato di Chiesa per i poveri e in ogni suo messaggio parla di raggiungere le periferie innanzitutto con le azioni. In particolare la Lettera apostolica Desiderio Desideravi sulla formazione liturgica del popolo di Dio e la Costituzione apostolica Praedicate Evangelium con la quale il Papa ha decretato la riforma della Curia Romana e il suo servizio alla Chiesa e al mondo illustrano chiaramente il suo pensiero e ciò che si aspetta da noi. So che è una grande responsabilità ma dobbiamo lavorare sulla scia del suo insegnamento» conclude l’arcivescovo.

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