Ragazzi palestinesi in coda per il rifornimento d'acqua a Gaza - Reuters
Pubblichiamo la riflessione del vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, sulla guerra in Medio Oriente, che come tutte le guerre «divide i popoli, religioni, le persone, gli amici, i fratelli». Il vescovo aveva guidato, domenica 5 novembre, una preghiera silenziosa, rivolti verso il mare, con al suo fianco il rabbino capo, Eliahu Alexander Meloni, il presidente della Comunità islamica locale, Omar Akram e i rappresentanti delle altre Chiese cristiane.
Il dolore dell’altro
La guerra divide i popoli, le religioni, le persone, gli amici, i fratelli.
La guerra ci sta frantumando. Ci si chiede di schierarci da una parte e contro l’altra. Ci si chiede di benedire bombe o di giustificare rapimenti di bambini, di donne, di uomini. Jacque Maritain, uno dei grandi ispiratori della dichiarazione dei diritti dell’uomo, diceva: “distinguere per unire”.
Io condanno Hamas e i suoi terribili atti di terrorismo. Ma distinguo il popolo palestinese che non può essere tutto assimilato ad Hamas, compresi i suoi bambini.
Io piango con gli Ebrei le vittime del terrorismo di Hamas e chiedo la liberazione di tutti gli ostaggi. Ma distinguo la modalità con cui il governo israeliano sta reagendo bombardando e uccidendo indiscriminatamente.
Io condanno Hamas per come si fa scudo dei civili. Ma distinguo che non possiamo metterci al suo livello e dunque che non tutti i mezzi sono leciti per sconfiggere Hamas. Io sono convinto che Israele ha diritto alla sicurezza e ad avere un futuro di speranza. Ma distinguo dicendo che anche i Palestinesi hanno diritto a vivere e ad avere un lavoro e un futuro di speranza.
Io sono convinto che continuare ad uccidersi porta ad incrementare risentimento, odio, spirito di vendetta che resteranno sedimentati per generazioni. Ma distinguo che ora, se non è possibile risolvere rancori e rabbia in poco tempo, è arrivato il momento di avviare processi differenti, mediazioni indispensabili, che non si possono rimandare.
Io sono convinto che ciascuno prova il suo immane dolore, la sua tragica paura e che non sia lecito fare i confronti su chi stia soffrendo di più. Ma distinguo che ciascuno deve provare a capire, a sentire il dolore dell’altro.
Questa non è equidistanza. Io sono dalla parte di chi piange e di chi soffre. Io sono vicino e non distante.
Non mi schiero a sufficienza dalla parte degli Ebrei? Non mi schiero a sufficienza dalla parte dei Palestinesi? Ma è perché mi schiero dalla parte delle vittime ebree e delle vittime palestinesi.
Sicuri che Dio distinguerà le vittime a seconda dell’appartenenza politica, etnica o religiosa? Io so che Dio sta dalla parte delle vittime. Anzi credo in Dio che si è fatto vittima per salvarci: è il Signore Gesù, il Cristo.
Anche qui la guerra rischia di distruggere il dialogo portato avanti da decenni. Oppure, ecco la possibilità che rimane aperta, abbiamo ancora più ragioni per camminare fieramente insieme, per parlarci, per dirci in cosa siamo d’accordo e in cosa siamo distanti.
Però senza armi. Senza odio. Con il desiderio di capire, di sentire il dolore dell’altro e di non farci dominare solo dal nostro dolore e dalla nostra paura, anzi dalla nostra rabbia.
Io non ho il potere di liberare gli ostaggi israeliani e non ho il potere di far cessare i bombardamenti. Io ho la libertà di continuare a considerarti un fratello ferito e sofferente e con il quale fieramente camminare da fratello. Non chiedermi di darti tutta la ragione. Io con te sto cercando di comprendere e sentire il tuo dolore. E anche quello di chi sta dall’altra parte, perché in Dio anche lui lo so mio fratello. Caino e Abele erano due fratelli. Ma quale è il disegno di Dio?
Enrico Trevisi, Vescovo di Trieste