Un'immagine evocativa del cardinale Giacomo Biffi (1928-20215)
Un porporato ambrosiano, dai tratti gentili e schietti, pungente nelle battute ma anche autoironico «lo fu addirittura quando gli venne amputata la gamba, pochi mesi prima della morte, nel luglio del 2015» ma anche un uomo che si considerava «il più intransigente ma anche il più aperto nelle questioni di fede e con tono divertito si riteneva il più grande “Pinocchiologo vivente”». E’ il ritratto che affiora - a cinque anni dalla scomparsa del cardinale e arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi (1928-2015)- dai nitidi ricordi del domenicano e teologo di formazione tomista padre Giuseppe Barzaghi.
Un legame e un’amicizia che ha il sapore e lo spessore del «discepolato teologico» quella intercorsa tra Biffi e questo illustre figlio di san Domenico durata più di trent’anni. «Pensi – è la confidenza di padre Barzaghi, classe 1958 e originario di Monza – che il mio primo incontro con l’allora vescovo ausiliare di Milano Biffi avvenne nel 1981 nel capoluogo lombardo quando decisi di iscrivermi alla Scuola teologica di San Vittore che vantava nomi del calibro di Inos Biffi e Carlo Caffarra. Proprio in quegli anni stavo per laurearmi in filosofia alla Cattolica dove avevo avuto come maestro Gustavo Bontadini».
E annota un dettaglio: «Dal primo incontro con lui e dalle letture dei suoi saggi ricavai da subito questa impressione: ”Finalmente si respira! Si respira un po’ di aria nuova e purissima”». Un legame quello tra padre Barzaghi, - noto tra l’altro per essere stato in anni recenti l’interlocutore privilegiato del dialogo su Dio e il cristianesimo con il filosofo Emanuele Severino,- che non si spezzerà mai con Biffi con cui amava confrontarsi su questioni cristologiche «a partire dal suo “maestro di sempre” il teologo svizzero Charles Journet» e non solo in dialetto meneghino.
«Rammento la sorpresa che avvertii nel volto del neo arcivescovo di Bologna quando mi ritrovò nell’agosto del 1984 vestito con l’abito bianco e nero, tipico di noi domenicani nel convento bolognese e proruppe con questa frase tipicamente meneghina: ”Uh Signur…tel chi in dua l’è” (O Signore... eccolo qua dove è andato a finire…)». Non è un caso che fu proprio Biffi a ordinare presbitero padre Barzaghi nel 1988 a Bologna e a volerlo dal 2003 direttore della Scuola di Anagogia, fondata dallo stesso cardinale. «Una stima e un’affinità teologica – è la rivelazione del domenicano di origini brianzole – che ha radici antiche. Mi commossi quando Biffi volle citarmi nel suo intensissimo libro Il Primo e l’Ultimo. Estremo invito al Cristocentrismo.
Rammento ancora le parole dell’allora portavoce di Biffi il professore Adriano Guarnieri: “Caro padre Barzaghi, sua Eminenza non cita mai i suoi contemporanei…». Una frequentazione quella tra il cardinale cultore delle avventure di Pinocchio e il domenicano tomista cadenzata nell’arco di più trent’anni (1981-2015) da tanti incontri avvenuti prima nella Curia della diocesi felsinea in via Altabella, poi a Villa Edera alla Ponticella sulle colline bolognesi, la residenza dove scelse di vivere da arcivescovo emerito di Bologna infine negli ultimi “faccia a faccia” alla clinica Toniolo. Dall’album dei ricordi di Barzaghi estrae alcune istantanee dal sapore speciale e inedito come la «gioia che provò nel 2013 all’elezione al soglio di Pietro del gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio».
E ritorna con la mente la confidenza che lo stesso cardinale fece in quel frangente: «Mi rivelò che l’allora cardinale di Buenos Aires fu uno dei pochi che durante le congregazioni generali che precedettero il Conclave del 2005 comprese il senso metaforico delle mio intervento attorno alle note avventure raccontate in fumetto dell’acuta ragazza “Mafalda”; rievocò, in quel frangente la frase che incuriosì e divertì il futuro papa Francesco: “il mondo è pieno di problemologi, ma scarseggiano i soluzionologi…”».
O ancora padre Barzaghi nel suo “Amarcord” carico di aneddoti attorno al “suo” arcivescovo rammenta il suo amore per il calcio in particolare per l’Inter, «l’amato sant’Ambrogio, il suo cavallo di battaglia» o il suo indagare sulla fede cristiana di Napoleone durante il suo esilio nell’isola di Sant’Elena. «Proverbiale fu l’episodio accaduto, nell’agosto del 2013, al mio confratello Giorgio Carbone, editore negli ultimi anni di molti dei suoi saggi teologici,– è la rievocazione divertita – che presentandogli e consegnandogli le bozze del libro di Bonaparte Conversazioni sul cristianesimo che portava la firma di Biffi nella prefazione si congedò con queste parole: ”D’ora in poi padre Giorgio non mi chiami più Sua Eminenza, ma Sua Altezza imperiale”…».
L'importanza del cristocentrismo cosmico nel suo pensiero
Padre Barzaghi si sofferma sul «umorismo biffiano» tanto affine al Dio del Vecchio e del Nuovo Testamento. «Mi ricordo che amava ripetermi quando parla del mio “cristocentrismo cosmico” non dimentichi mai la lettera esse se no si passa subito al concetto di comico...». Ed è proprio attorno all’architrave portante di tutto il pensiero biffiano il «cristocentrismo cosmico» che fu uno dei pilastri su cui si cementò e si costruì lo stile da autentico “catecheta delle verità cattoliche” del cardinale durante i suoi 19 anni sulla Cattedra di San Petronio che si sofferma infine padre Barzaghi: «Egli per me è stato un esploratore del disegno divino, un amante delle immagini e degli esempi proprio come era capace Tommaso d’Aquino. La sua idea di “cristocentrismo cosmico” ci fa capire come per lui Cristo fosse tutto in tutti, come ci dice la Lettera ai Colossesi. La sua tesi molto ardita di “Cristocentrismo cosmico” ci fa comprendere come per lui Cristo arriva a tutto perché tutto è creato per mezzo di Lui. Grazie ai Sacramenti vivifica tutti i battezzati ma anche coloro che non sono credenti o non Lo conoscono possono ricevere la sua vita grazie alla forza dello Spirito santo, che egli riteneva uno “Spirito anarchico”. Spesso è stato visto come un intransigente e un cardinale conservatore ma per capire Biffi come disse una volta il senatore Giulio Andreotti bisogna leggerlo tutto dall’inizio alla fine e non fermarsi alle premesse».
Il cardinale Giacomo Biffi e Giulio Andreotti ritratti nel corso del Meeting dell'Amicizia a Rimini nel 2000 - Ansa archivio