Alcuni dei seminaristi che hanno partecipato al Convegno di Loreto: da sinistra Andrea Sorrentino, Carlos Vigil, Mario Grieco - Missio
Parlano di figura del sacerdote descrivibile con l’immagine di un pescatore, più che di un pastore, perché «quando peschi non scegli» e «il recinto delle pecore a volte rassicura troppo». Sono consapevoli di dover diventare «preti per il mondo». Sanno che non si parte per la missione «per salvare ma, semmai, per essere salvati». Sono i seminaristi che hanno partecipato al 67° Convegno missionario nazionale organizzato per loro dalla Fondazione Missio (organismo pastorale della Cei) a Loreto. Conclusosi ieri nel Santuario della Santa Casa, l’appuntamento annuale vuole sensibilizzare alla missione i giovani in formazione al sacerdozio e ha visto la partecipazione di un centinaio di seminaristi in arrivo da varie regioni d’Italia.
Tra le voci raccolte, quella di Andrea Sorrentino, 48 anni, al primo anno di studi nel Seminario arcivescovile di Napoli. Una vocazione adulta, arrivata in una vita già strutturata: insegnante di religione in Brianza, non gli mancavano affetti e lavoro. «Ma il Signore ha messo nel mio cuore una sana inquietudine e ho trovato il coraggio di rischiare per Lui, lasciando tutto». È Andrea, raccontando del suo percorso di studi, a riprendere l’immagine del sacerdote come un pescatore, anziché un pastore, e della Chiesa del futuro «non solo intenta a custodire le pecore del recinto, ma impegnata nel dialogo con i lontani. Ciò obbliga a reinventare una pastorale, perché ogni giorno devi andare a pescare e non sai cosa ti aspetta». Prima di sperimentare «la dimensione dell’essere amato da Dio e amante di Dio», Andrea era un «vicino lontano», così si descrive. Poi ecco l’esperienza di Colui che «ti dona la dignità, che ti rialza nonostante le avversità della vita, che ti fa vivere da risorto. Oggi mi sento in una dimensione di gratitudine per il cammino iniziato».
Anche Mario Grieco, 23 anni, studia nel Seminario arcivescovile di Napoli. La sua vocazione è una risposta al desiderio di ricerca di felicità. E a chi gli chiede perché ha fatto questa scelta risponde: «È difficile da spiegare a parole. Ma è come quando un giovane si fidanza: perché proprio lei? Sento il desiderio di annunciare l’amore di Dio agli altri, perché sperimento ogni giorno quello per me». Al suo terzo anno di cammino verso il sacerdozio, Mario vuole «rendere straordinario l’ordinario», che poi significa scoprire «il progetto che Dio ha su ciascuno e viverlo, ovvero essere santi, felici». Senza avere la presunzione di diventare preti super eroi, né di cambiare il mondo, ma vivendo il Vangelo.
Stessa convinzione di Michele Sentina, diacono seminarista di Caltagirone, dopo aver appena concluso un’esperienza di missione per sei mesi in Bolivia, grazie alla nuova “Convenzione giovani” della Cei (per approfondire missioni.chiesacattolica.it/convenzioni). D’accordo con il suo vescovo e con il Centro missionario diocesano di Bergamo, il diacono siciliano ha vissuto nelle realtà bergamasche del Paese latinoamericano: a Cochabamba, dove ha fatto servizio nel doposcuola che dà l’opportunità ai bambini più disagiati di studiare e formarsi; a Santa Cruz, nel carcere minorile Fortaleza; in una parrocchia di La Paz per le attività estive dei ragazzi; con il vescovo monsignor Eugenio Coter nell’Amazzonia boliviana, in visita alle comunità disperse in foresta, che non ricevevano l’eucarestia da più di un anno a causa della vastità e inaccessibilità dell’area. Michele desiderava da sempre inserire la missione ad gentes nel suo cammino di formazione verso il sacerdozio e così ha fatto: quest’esperienza «mi ha riportato, non tanto con i piedi per terra, ma con la faccia per terra – confessa – perché là è normale ascoltare sofferenze qui inimmaginabili. Parti per salvare il mondo, ma arrivi in quelle terre e non salvi nessuno; anzi, sono loro che salvano te, che danno senso al tuo essere lì. Quando scopri che non puoi cambiare il mondo, ti senti inutile. È in questa contraddizione che c’è il senso della missione. Occorre saper accettare la propria impotenza, perché impari ad ascoltare di più, pregare di più, guardare più attentamente».
Ciò che Michele ha ricevuto dalla missione è imparare a riconoscere Cristo in ogni volto umano, in una dimensione universale testimoniata anche da Carlos Vigil, 33 anni, studente salvadoregno nel Pontificio Seminario regionale marchigiano. Arrivato da El Salvador in Italia proprio per vivere l’esperienza di missione nel nostro Paese, Carlos fa parte di una piccola congregazione religiosa della sua nazione di origine, presente con una comunità anche a San Severino Marche. «Si è preti per il mondo», dice, convinto che partire per la missione sia un’esperienza che aiuta ad essere più uomo e più cristiano. E forse anche più prete.