Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, celebra la Messa nel Duomo di Torino in occasione dei festeggiamenti di San Giovanni patrono della città, Torino, 24 giugno 2021 - ANSA/ ALESSANDRIO DI MARCO
La nomina di monsignor Cesare Nosiglia ad arcivescovo di Torino viene diffusa dalla Sala Stampa vaticana l’11 ottobre 2010. Prenderà possesso della Chiesa subalpina il 21 novembre dello stesso anno. Il primo agosto 2019, papa Francesco lo proroga nell’incarico per altri due anni e il 12 ottobre 2019 è nominato amministratore apostolico della diocesi di Susa.
Il 20 novembre 2010, alla vigilia del suo ingresso, volle cominciare incontrando i giovani. Sabato scorso sono stati i giovani, insieme con altri impegnati nell’area “sociale” della diocesi, a voler salutare l’arcivescovo Nosiglia, al termine del suo servizio. Un segno, questo dei giovani e della sensibilità ai problemi sociali, che ha caratterizzato per intero il suo episcopato torinese.
Cesare Nosiglia è stato il primo vescovo, almeno a Torino, invitato a parlare alla manifestazione unitaria del Primo Maggio, domenica scorsa: perché le organizzazioni dei lavoratori hanno sempre incontrato in lui un interlocutore attento, impegnato e anche “appassionato”.
Per Nosiglia questa attenzione non è certo una scelta politica: ma piuttosto il ricordo di esperienze personali dirette (suo padre conobbe la disoccupazione, nel dopoguerra) e di una valutazione pastorale precisa: il lavoro è alla base della dignità di ogni persona e di ogni cittadino. Se non c’è lavoro la vita diventa un continuo “precariato”, una spirale perversa. I giovani non sono più in condizione di costruire una famiglia, di trovare una casa, pensare ad allevare e educare dei figli… Il lavoro - e Nosiglia lo ha ribadito in più occasioni - è la base stessa della dignità delle persone e dei cittadini.
È in questo orizzonte che monsignor Nosiglia ha collocato e costruito il suo servizio pastorale nel decennio. La città ha visto consolidarsi e aggravarsi l’assenza della Fiat e del suo indotto ramificato: perché non solo della fabbrica si tratta, ma dell’ampia rete di avviamento e preparazione al lavoro, delle professioni collegate a commercio, industria, finanza, e così via: tutti settori di cui Torino si è “impoverita”. Queste e simili altre considerazioni hanno spinto l’arcivescovo ad avviare ogni possibile iniziativa per ricostruire un tessuto sociale e produttivo che portasse, come lui stesso ha detto più volte, a “un nuovo modello di welfare”. Gli anni Dieci sono stati, per la Chiesa torinese, quelli delle Agorà, dove istituzioni, agenzie educative, imprese, mondo del credito, sindacati sono stati chiamati a un confronto serrato per “cominciare a parlarsi”, mettere sui tavolo progetti comuni concreti. Per Nosiglia sono stati gli anni di un continuo lavoro di ascolto, nelle parrocchie e sul territorio: si è trattato di raccordare la presenza e il servizio della Chiesa con la rete delle istituzioni, contro la deriva dell’esclusione. Nosiglia è stato anche il vescovo che, più di altri, si è impegnato per quegli “ultimi” che difficilmente trovano ascolto e spazio: dai barboni alle famiglie in difficoltà, alle persone sole, ai nomadi (Nel 2012 ha scritto una Lettera pastorale interamente dedicata a loro).
All’impegno nel sociale e all’ascolto del territorio monsignor Nosiglia ha accompagnato una forte spinta nel proporre vie e occasioni di spiritualità, soprattutto ai giovani. E la Sindone è stata il veicolo principale di questo cammino. Intorno al motto dell’“Amore più grande” le esposizioni del Telo hanno favorito le esperienze di pellegrinaggio e preghiera. Nel 2015 Nosiglia ha voluto un’ostensione pubblica che ha richiamato a Torino oltre due milioni di persone, e che si concluse con la presenza di papa Francesco, per due giorni di incontri indimenticabili (compresa la prima volta di un Papa nel Tempio valdese di corso Vittorio). Ma ammalati e giovani furono convocati alla Sindone già nel 2013 e poi nel 2018 e nel 2020 - e dovrebbero tornare a luglio 2022, per l’incontro europeo di Taizé.
Se c’è un “filo conduttore” con cui leggere questo episcopato, si ritrova nelle parola dell’ultima omelia di San Giovanni (24 giugno 2021): «Non possiamo permetterci - disse l’arcivescovo - di essere senza memoria; non possiamo illuderci che la nostra vita si gioca soltanto nel futuro, sulle cose che vorremmo costruire. Il nostro presente è saldamente ancorato nella nostra storia. Ecco perché non possiamo pensare e vivere la città che è di tutti come un arcipelago di isole separate. Ecco perché non possiamo pensare che i problemi dei giovani, delle persone fragili, dei disoccupati, dei profughi non ci toccano. In questi anni abbiamo dedicato molte energie a combattere battaglie che magari apparivano perdute in partenza. Ma non lo abbiamo fatto per questioni di principio, di ideologia, o per apparire sui giornali e in televisione. L’abbiamo fatto perché non si poteva fare diversamente. Non si poteva tacere. Come sta scritto sul voltone di via Cottolengo, è la carità di Cristo che ci spinge. Quella, e niente altro».
Inizia oggi il ministero episcopale di monsignor Repole
Inizia oggi il ministero episcopale di monsignor Roberto Repole arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, che nello stesso giorno viene ordinato e prende possesso della Chiesa subalpina. Nel pomeriggio, alle 15 sul sagrato della Cattedrale di San Giovanni Battista il saluto augurale del sindaco di Torino, Stefano Lo Russo. Quindi alle 15.30 la celebrazione eucaristica presieduta da monsignor Cesare Nosiglia, amministratore apostolico di Torino e di Susa, insieme ai vescovi ordinanti Marco Arnolfo, arcivescovo di Vercelli, e Alfonso Badini Confalonieri, emerito di Susa. Nato a Torino il 29 gennaio 1967, Repole è stato ordinato presbitero il 13 giugno 1992. Il 19 febbraio scorso papa Francesco lo ha nominato arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, sedi unite “in persona episcopi”.