Padre Pio da Pietrelcina (1887-1968) mentre celebra Messa (Archivio Ansa)
Erano le prime ore del mattino – esattamente le 2.30 – del 23 settembre di cinquant’anni fa quando Padre Pio da Pietrelcina (1887-1968) all’età di 81 anni moriva all’interno del convento di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Rotondo. Un anniversario ricordato proprio in questi giorni con una serie di eventi e celebrazioni nel convento del Gargano dove san Pio trascorse, senza quasi mai muoversi, buona parte della sua esistenza.
Ma a colpire è un dettaglio singolare e di stringente attualità: solo pochi giorni prima di morire, il 12 settembre 1968, il frate decideva di scrivere una lettera a Paolo VI, il Pontefice che sarà proclamato santo il prossimo 14 ottobre da papa Francesco. Si tratta di un testo che rappresenta l’omaggio sincero di un “semplice figlio della Chiesa”, come amava definirsi, per quel Papa che anche da arcivescovo di Milano non dimenticò mai le tribolazioni e la macchina di calunnie che ruotò attorno alla figura del frate cappuccino. Nella commossa missiva è chiaro il riferimento alle sofferenze di papa Montini– siamo nel bel mezzo del 1968 – «per le sorti della Chiesa, per la pace nel mondo».
E lo ringrazia, forte anche della sua esperienza di “apostolo” del confessionale, «per la parola chiara e decisa che avete detto, specie nel- l’ultima enciclica Humanae vitae » anche a nome dei «dei miei figli spirituali» e dei «Gruppi di preghiera ». Un testo in cui traspare la genuina «obbedienza » e «devozione» del frate sannita per la Sede Apostolica.
«So che il vostro cuore soffre molto in questi giorni per le sorti della Chiesa, per la pace del mondo, per le tante necessità dei popoli, ma soprattutto per la mancanza di obbedienza di alcuni, perfino cattolici, all’alto insegnamento che voi, – scriveva Padre Pio – assistito dallo Spirito Santo e nel nome di Dio, ci date.
Vi offro la mia preghiera e sofferenza quotidiana, quale piccolo ma sincero pensiero dell’ultimo dei vostri figli, affinché il Signore vi conforti con la sua grazia per continuare il diritto e faticoso cammino, nella difesa dell’eterna verità, che mai si cambia col mutar dei tempi». Nel testo il frate del Gargano confida al “suo” Papa una preoccupazione, ossia che i confratelli rimangano fedeli all’antico carisma e alle norme stabilite da secoli come «l’austerità religiosa, povertà evangelica, osservanza fedele della regola e delle costituzioni, pur rinnovandosi nella vitalità e nello spirito interiore, secondo le direttive del Concilio Vaticano II».
Un documento questo che ci riporta all’affetto e alla stima intercorsa tra il cappuccino e Giovanni Battista Montini. E forse non è un caso che solo 8 anni prima di questa lettera-testamento l’allora cardinale Montini il 20 giugno 1960 abbia vergato di suo pugno un biglietto autografo – custodito ancora oggi nell’archivio storico diocesano di Milano – al frate in occasione del suo 50° di sacerdozio.
«È proprio il caso di ripetere con giubilo e con riconoscenza verso la bontà di Dio: Venite, audite, et narrabo, omnes qui timetis Deum, quanta feci animae meae! – si legge nella lettera autografa –. Così merita di essere celebrato il sacerdozio, che diremo poi del Suo, favorito di tanti doni e fecondità! Esprimo il voto che Cristo Signore abbia a vivere a manifestarsi nella persona e nel ministero della Paternità Vostra, come dice san Paolo: Vita Jesu manifestetur in carne nostra mortali. So ch’Ella prega anche per me. Ne ho immenso bisogno: voglia raccomandare al Signore questa diocesi insieme col Suo dev.mo in Cristo».
Un testo che manifesta la vicinanza di Montini al religioso cappuccino che in quell’anno era sotto la visita apostolica nel suo convento di San Giovanni Rotondo da parte di monsignor Carlo Maccari. «Un documento – spiega la storica e biografa di Paolo VI, Giselda Adornato – in cui oltre all’attestato di felicitazioni e benedizioni per questo giubileo sacerdotale Montini compie un vero atto di carità, vicinanza umana e cristiana». A sorprenderci ancora oggi è la risposta – uno scarno biglietto per certi versi “inedito” custodito anch’esso nell’archivio storico diocesano di Milano – a questa missiva montiniana da parte del commendatore Angelo Battisti, amministratore della Casa Sollievo della Sofferenza, che aveva scritto a nome del frate delle stigmate: «Il Padre ha pianto nel leggere la sua lettera per il 50esimo di sacerdozio. È stata una goccia nel mare dei tormenti: che il Signore rimeriti vostra eminenza per tanta delicata bontà e carità».
Non stupisce dunque che dopo la morte del frate del Gargano papa Montini abbia voluto ricordare pubblicamente in due discorsi nel 1971 (ai frati cappuccini conventuali) e nel 1975 (ai Gruppi di preghiera di Padre Pio in pellegrinaggio a Roma) le gesta e le opere di questo mite e umile religioso definito «il rappresentante stampato di Nostro Signore Gesù Cristo». Lo stesso giudizio in fondo espresso ben sette secoli prima da Gregorio IX quando canonizzò il Poverello nel 1228 nella sua Assisi circondato dai suoi frati.