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Dà le vertigini, se ci si pensa bene, il fatto che Dio ha stretto un legame con la famiglia umana che è irreversibile. Dà le vertigini suscitando un sentimento di sorpresa e di gratitudine. Proprio intorno a questo legame si articola la conversazione sulla gratitudine con padre Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’Ordine dei cistercensi e vicepresidente della Unione dei Superiori Generali.
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Qual è l’origine della gratitudine?
La gratitudine nasce in noi di fronte a qualcosa che si manifesta nella vita e che riconosciamo come gratuito. Dunque è il sentimento originato dall’esperienza dei doni che Dio sempre fa alle sue creature.
Cosa ci dice di Gesù il fatto che Egli sempre rende lode e grazie al Padre? E questo fatto come ci istruisce?
Fra il Padre e il Figlio circola un amore gratuito che è eterno, un continuo donarsi l’uno all’altro che è infinito, e per questo è anche sempre nuovo. E suscita gratitudine eterna. Facendosi uomo, Gesù ha portato l’esperienza di questo rapporto con il Padre dentro la carne, dentro la vita umana: e infatti questa esperienza di gratuità infinita ed eterna vissuta col Padre, nel dono dello Spirito, Gesù mostra di farla sempre, per ogni cosa. Dice: “tutto è stato dato a me dal Padre mio” (Mt 11,27); dunque, tutto, per Lui, era dono del Padre. Questa esperienza ci rivela la postura da assumere: vivere aprendosi costantemente alla gratuità del Padre, riconoscendo costantemente che tutto, nella nostra esistenza, è dono di Lui, rendendo dunque costantemente grazie.
Ma non si può dire che il cancro che colpisce un bimbo o un adulto sia dono del Padre. I vangeli mostrano che la giustizia dell’Abbà di Gesù risplende nei gesti di liberazione dal male e di riscatto della speranza perduta.
Certo, deve rimanere ben chiaro che Dio non vuole il male, né è complice del male. Dio è solo fonte di ogni bene. Ciò che intendo dire è che nell’esperienza misteriosa e scandalosa del male che colpisce l’essere umano è sempre possibile trovare i doni del Padre, anche se magari, di primo acchito, sembra che non esistano: un bambino colpito dal cancro è particolarmente sensibile all’amore e alle premure dei genitori, di chi ha cura di lui, e in questo sperimenta con un’intensità tutta speciale la forza e la bontà della vita; in fondo arriva a comprendere che il vero dono è l’amore e ad esso si aggrappa. Molte persone gravemente ammalate riconoscono che il dono che Dio fa della vita, e della vita eterna, ossia di un rapporto eterno con Lui, è un dono che supera la disgrazia della malattia. Ed è un dono di cui sono grate.
Perché per l’essere umano appare così difficile affidarsi a Dio, consegnarsi a Lui sentendo che nulla lo separerà dalla Sua cura?
Perché è difficile accettare che la sorgente di tutto sia Dio: il peccato a ben vedere è la pretesa di essere noi la fonte dell’amore e dei doni. Con il peccato l’essere umano non perde il dono della vita, essa infatti gli rimane, ma smarrisce la coscienza di quale ne sia la sorgente: il Padre che crea, ama, perdona. L’essere umano smarrisce dunque la coscienza di essere figlio. Cristo è venuto proprio per ridestare questa coscienza e questa esperienza, ponendosi lui stesso come colui che non ha la pretesa di prendere il posto del Padre: “tutto è stato dato a me dal Padre mio”, afferma. Ossia: “non sono io la fonte, tutto ricevo dal Padre e perciò poi posso – come gesto di gratitudine – donare a mia volta”. Per questo la gratitudine è una dimensione veramente importante: essa infatti ci abita quando riconosciamo di poter diventare noi stessi una fonte per altri in quanto traboccanti dei beni che riceviamo, come sosteneva san Bernardo di Chiaravalle parlando della Madonna come canale della grazia divina, che tutto riceve e tutto dona. La gratitudine, dunque, può essere considerata come qualcosa che si accompagna al traboccare.
Quale riflessione le suggerisce l’episodio del lebbroso che, unico fra dieci lebbrosi guariti, torna a ringraziare Gesù (Lc 17,11-19)? E quale significato ha la precisazione su quel lebbroso, «era un samaritano»?
Questa pagina mostra che la gratitudine è una dimensione costitutiva dell’essere umano, appartiene al suo cuore. Basta essere “umani” per poter accogliere il dono di Dio ed esserne riconoscenti. Per i nove lebbrosi ingrati il dono della salute ricevuto era più prezioso del donatore. Il samaritano, al contrario, fedele al suo cuore fatto per Dio, ha capito che la cosa più importante non era la salute ma Colui che l’aveva guarito: è tornato per ringraziarlo, conoscerlo meglio, avere un rapporto con Lui. Questo episodio ci mostra che l’ingratitudine è come un ridurre la vita ad alcuni bisogni perdendo di vista che essa invece è un dono da donare: esistiamo per Dio, per avere un rapporto eterno con Lui, che si dona a noi.
Cosa vorrebbe dire a chi, aspettandosi da Dio alcuni doni e non ricevendoli, finisce per non vedere quelli che invece Dio gli fa?
La strada per accorgersi dei doni di Dio è stare il più possibile legati a Lui: così facendo non solo riconosceremo i suoi doni ma eviteremo di considerarLo solo un “fornitore di doni”, per quanto buoni e necessari. Il sommo dono che Dio ci fa, infatti, è se stesso: nella vita può capitare spesso di perdere la consapevolezza di ciò se non coltiviamo il legame con Lui, se non viviamo con fede e speranza, se non poniamo la nostra speranza in Colui che salva e rigenera nostra vita. Penso a San Francesco: era a tal punto catturato dall’altissimo onnipotente e buon Signore e faceva così pienamente esperienza del dono che Dio fa di sé da avere un cuore lieto e grato, persino nella malattia, perché il dono di sé da parte di Dio era più grande di qualunque cosa potesse mancargli. Questa è la grande libertà cui siamo chiamati: essere lieti perché ci è dato Dio stesso, fonte di ogni bene. E niente può togliercelo, neppure la morte.
A chi vorrebbe rivolgere parole di gratitudine?
Con l’avanzare dell’età sento gratitudine crescente verso chi mi ha guardato con speranza e ha perdonato i miei limiti, i miei errori, verso chi con me ha usato misericordia educandomi ad essere grato e a riconoscere che nel cuore della vita c’è un Dio buono, che sempre perdona. Chi ci guarda con misericordia ci guarda anche con speranza, è infatti capace di vedere la nostra vocazione oltre i limiti della nostra povera persona, di vedere sempre aperto davanti a noi il cammino di grazia e pienezza che il Signore ci chiama a percorrere. I primi ad avere questo sguardo sono sempre i genitori, che guardano il loro bimbo, pur bisognoso di tutto, vedendo ciò che potrà diventare. È questo sguardo di speranza che fa crescere e permette di vivere con gratitudine.