Una ragazza coreana prega alla Gmg di Lisbona - Siciliani/Cristian Gennari
Ciò che più conta dell’annuncio cristiano lavora sottotraccia e non appartiene all’ordine del quantificabile. Per questo le parabole del Regno di Dio raccontano un’efficacia difficile da prevedere. Una giornata mondiale della gioventù non può sottrarsi a questa regola. Ciò che più conta riguarda infatti il vangelo. D’altra parte, sin dalla prima Pentecoste è proprio il vangelo a produrre un terremoto interiore – si sentirono frantumare il cuore – e a lasciare affiorare una domanda: che cosa dobbiamo fare? (At 2,37). Qui abbiamo un indicatore, quasi il termometro della missione.
Chi ha condiviso coi giovani i giorni di Lisbona può ora raccogliere questo interrogativo. E chiedersi, se non affiora, perché. Non c’è nulla da misurare, ma un’attenzione da garantire. Esiste, però, l’altra parte che siamo noi, non più così giovani anagraficamente. Il vangelo, infatti, non è mai solo per gli altri. Quella parola di Dio che sono i giovani ha frantumato il nostro cuore? Che cosa dobbiamo fare? Quando a chiederselo sono degli adulti, come presso Giovanni Battista o negli Atti degli Apostoli, la questione è ancora più rivoluzionaria, perché tornando alle cose di sempre quel che c’è da fare è già programmato: ne abbiamo in abbondanza. Il Regno di Dio, però, impatta su questa sicurezza della maturità, per cambiare tutto. In casa cattolica ha generato qualche fastidio e sincero dispiacere il silenzio dei grandi media sul milione e mezzo di giovani raccolti da papa Francesco.
Di qualunque altro raduno – anche minore – si sarebbe parlato di più. È un complotto? O semplicemente questa meraviglia è entrata nella routine, cioè nell’ordine di ciò che conferma il mondo conosciuto e non lo modifica? Già, la Chiesa cattolica. Che raduni qualche milione di persone si sa. Ma le ragazze e i ragazzi di Lisbona hanno cambiato i loro vescovi? Erano molti ad accompagnarli. Tornando alle loro diocesi che eco avranno quelle voci e quei volti nelle decisioni da prendere?
Il mondo avrebbe ragione di fermarsi e di provare un fremito davanti a un evento dello Spirito. Sigillo del suo passaggio è la vita nuova. Che un uomo nasca quando è vecchio, direbbe Nicodemo (Gv 3,4). Sui giovani ogni comunità cristiana proietta tutte le sue immaginazioni. Il dono più onesto che meritano è invece che le loro idee, il loro dissenso, il loro chiamarci in causa abbiano qualche effetto.
Non significa abdicare a un compito educativo, ma entrarvi senza eccessive protezioni. Il carattere dirompente di ogni pagina evangelica sta negli effetti della reciprocità che i sistemi di potere disinnescano. Dobbiamo temere il quieto vivere. Allora la vita in abbondanza sperimentata nei grandi raduni ecclesiali non sarà come l’entusiasmo di una vacanza, ma vento e fuoco che purificano il cammino ordinario. Protagonista di tutto questo è il Risorto, di cui possiamo non tenere conto o parlare come di un estraneo. Invece agisce in mezzo a noi come il più giovane di tutti.
I giovani di Lisbona hanno rivelato, a chi la voglia vedere, una formidabile capacità di concentrazione quando la preghiera è di qualità e veramente fra sorelle e fratelli. Hanno manifestato il desiderio di un mondo in cui i confini siano solo traccia di storie diverse e di problemi su cui unire le forze. Vivono l’amicizia e l’amore con una libertà di interrogativi senza precedenti. Sanno di essere un’eccezione fra i propri coetanei e si chiedono cosa e come condividere. Hanno capito che papa Francesco fa sul serio. La domanda è: che cosa dobbiamo fare?
Sergio Massironi è teologo del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale