lunedì 1 febbraio 2021
Oggi la Giornata mondiale della vita consacrata. Il messaggio di padre Luigi Gaetani, carmelitano scalzo e presidente nazionale della Conferenza italiana dei superiori maggiori (Cism)
Frati minori cappuccini in udienza dal Papa nel 2018

Frati minori cappuccini in udienza dal Papa nel 2018 - Vatican News

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Oggi, 2 febbraio, festa liturgica della presentazione di Gesù al tempio, è anche la 25ª Giornata mondiale della vita consacrata. Pubblichiamo il messaggio scritto per l’occasione da padre Luigi Gaetani, presidente nazionale della Conferenza italiana dei superiori maggiori (Cism). Padre Gaetani, nato a Gallipoli (Le) nel 1959, carmelitano scalzo, sacerdote dal 1989, presiede questo organismo di diritto pontificio dal 2012. Missione della Cism è quella di curare la ricerca, il coordinamento e la diffusione delle esperienze di vita religiosa nel nostro Paese, di promuovere convegni di aggiornamento, di facilitare l'inserimento degli Istituti religiosi nella pastorale delle Chiese particolari e di mantenere un rapporto istituzionale con la Cei.


La Presentazione del Signore del 2 febbraio 2021 riveste un significato particolare perché si celebra la XXV Giornata mondiale della vita consacrata. In ogni cattedrale, segno di unità e della multiforme bellezza di cui è adornata la Chiesa, si rinnoverà l’appuntamento con i consacrati e le consacrate che esprimeranno il loro rendimento di grazie al Signore per il dono della vita religiosa, memoria della bellezza della vocazione-missione cristiana innestata nella grazia battesimale del popolo santo di Dio (LG 4.10), segno profetico della configurazione e trasfigurazione all’umanità di Cristo casto, povero e obbediente.

San Giovanni Paolo II, a partire dal 1997, dopo la promulgazione dell’esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata, istituì la Giornata mondiale della vita consacrata facendola coincidere con la festa liturgica della presentazione di Gesù al tempio, con la “festa dell’incontro”, come viene chiamata nell’Oriente cristiano, incontro che compie l’attesa dell’uomo alla relazione e rivela il cuore di Dio, tra il già e il non ancora del Regno. Infatti, è Gesù Cristo, presentato al tempio da Maria e Giuseppe, la salvezza preparata «davanti a tutti i popoli».

Per questa ragione il messaggio che emerge dalla festa della presentazione di Gesù e dalla Giornata della vita consacrata è sempre espressivo dell’universalità della Chiesa e della sua missione alla comunione e alla fraternità; un messaggio che tutti i credenti in Cristo sono chiamati a vivere e a diffondere perché, in virtù del battesimo, tutti i membri della Chiesa sono insigniti della «dignità di figli di Dio» e la loro partecipazione attiva alla missione della Chiesa è da considerarsi come indispensabile e necessaria (LG 12).

Non sfugge a nessuno che questa universalità della Chiesa e della sua missione si stia coniugando nel magistero di papa Francesco come «sinodalità», come partecipazione e coinvolgimento di tutto il popolo di Dio alla vita della Chiesa, come tratto di unione tra l’esercizio del ministero dei vescovi, cum et sub Petro, e la forma visibile della comunione a cui tutti i battezzati contribuiscono personalmente.

Non sfugge a nessuno che nelle nostre diocesi, già da molti anni, questa universalità della Chiesa e della sua missione si stia manifestando attraverso il segno della vita consacrata, vera icona nella costruzione della «Chiesa dalle genti», della Chiesa sinodale, impegnata nella promozione umana e nella cura per la casa comune (EG 30). Tante comunità di vita consacrata, composte sempre più da persone provenienti da altre nazioni, costituiscono un vero e proprio laboratorio di Chiesa delle genti, luogo di ascolto e valorizzazione dei diversi carismi per la missione, testimonianza e stimolo di una fraternità senza confini, portando su di sé il peso dell’umano, tendendo l’orecchio al grido dei poveri, ascoltando la voce degli ultimi (papa Francesco, Fratelli tutti).

Come religiosi e religiose in Italia vogliamo ribadire che la vera fraternità è comunione impastata di inclusione, il luogo più umano dove i religiosi e le religiose sono chiamati ad apprendere e maturare l’esperienza dell’appartenenza inclusiva, non solo carismatica ed ecclesiale, ma familiare e sociale. Essere fratelli, infatti, non è uno stato emotivo, un’idea, ma rappresenta un dato di fatto che capovolge il modo di pensare, agire, pregare; una forma di vita che rimanda ad un costante allenamento all’accoglienza reciproca, che ribalta le logiche estreme che combattono il mondo perché credono che sia l’opposto di Dio, cioè idolo, e dunque da distruggere per accelerare la fine del tempo. La fraternità è un argine umano davanti al baratro dell’inflessibilità rivestita di fondamentalismo. La fraternità è l’ultimo appello davanti all’apocalisse che non percepisce la presenza dei fratelli, ma vede solo apostati o “martiri” in corsa contro il tempo. Le comunità religiose, disseminate in mezzo alle case della nostra gente, ricordano che noi siamo fratelli tutti, che fioriamo dove il Signore ci ha piantati (beata Elia) e che, come diceva santa Teresa di Lisieux, «Mio Dio, per amarti non ho che quest’oggi».

Le comunità dei religiosi e delle religiose irradiano questa esperienza di fraternità e amicizia sociale, questo essere comunità-famiglia che vive, anche se con non poche fatiche, la grazia dello svuotamento da tutto ciò che è grossolano e non umano, cesellando la propria umanità, ingentilendo la propria coscienza, i pensieri, i sentimenti, le parole, l’agire.

La fraternità delle comunità religiose non brucia il tempo, né acceca la vita e gli animi; occupa, invece, il tempo e richiede tempo: quello del litigio e quello della riconciliazione. La fraternità, infatti, perde tempo, mentre l’apocalisse lo brucia. La fraternità tesse la fratellanza, mentre l’odio squarcia ogni relazione e si nutre di eccitazione. La fraternità consente agli uguali di essere persone diverse, mentre l’inimicizia non tollera il diverso, lo scarta, lo elimina. Non c’è alternativa umana alla fraternità che si nutre di fratellanza, perché la soluzione apocalittica è solo l’annientamento dell’umano, la radicalizzazione delle differenze.

Per tutto questo, mentre viviamo sospesi su questo tempo di paure, occorrerà che l’evangelizzazione non si fermi a promuovere la sola solidarietà tra gli uomini ma apra percorsi di fraternità perché, «mentre la solidarietà è il principio di pianificazione sociale che permette ai diseguali di diventare eguali, la fraternità è quello che consente agli eguali di essere persone diverse» (papa Francesco, Udienza 24 aprile 2017). Solo la fraternità, nelle nostre comunità e delle nostre famiglie, cambierà la Chiesa e la società; modificherà le prospettive e diventerà un forte messaggio dal valore ecclesiale e politico.

Vivere la XXV Giornata mondiale della vita consacrata come evento di grazia di fraternità e amicizia sociale è un bel regalo alla Chiesa e al nostro Paese in questo momento difficile, in questo tempo di smarrimento e di attese. Si, perché non dimentichiamo che molte comunità, come tante famiglie, sono state colpite duramente dalla pandemia. A tutti abbiamo manifestato e continuiamo a rendere presente la nostra umanità attraverso la preghiera e la solidarietà. Siamo convinti che la Chiesa come la società, non dimenticano il bene compiuto da tanti loro figli, i segni di vitalità e di speranza posti in essere dalle comunità religiose, dalle parrocchie, dalle scuole, dalle RSA, avvicinando povertà vecchie e nuove, aprendo i santuari come i monasteri agli ultimi. Sono tante, infatti, le modalità attraverso le quali le persone consacrate abitano il territorio del nostro Paese, portando a tutti la libertà del Vangelo, la letizia della fraternità e la tenerezza dell’amicizia.


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