Cos’è la famiglia oggi? Come orientarsi nella moltiplicazione dei modelli familiari? Domanda tutt’altro che banale se anche l’ultimo numero della Rivista dei sociologi americani (American of sociology) la metta al centro della sua riflessione e, per rispondere, parte da una prospettiva sorprendente. Contare il numero degli anziani morti non reclamati da nessuno.
In una grande città come Los Angeles, 10 milioni di abitanti, muoiono ogni anno 4.500 persone anziane. Oltre il 10 per cento, in povertà e solitudine. Lo scorso anno, su 300 di questi anziani defunti in solitudine, è stata fatta un’indagine più accurata e dopo ricerche di settimane in tutti gli angoli degli Stati Uniti, è stato steso un rapporto accuratissimo su quali famiglie ci fossero dietro questi anziani abbandonati a se stessi. Mettendo in fila tutti i modelli familiari incontrati, sono state contate 116 varianti. Numero che appare un po’ esorbitante ma contribuisce però a illustrare la complessità del problema famiglia. Lo spunto è servito al sociologo Roberto Cipriani per mettere a fuoco il tema e proporre la definizione di famiglia contemporanea, accettando il fatto che le trasformazioni sono sempre più rapide e più imprevedibili dei nostri tentativi di catalogazione. Giovedì mattina Cipriani è intervenuto alla tavola rotonda organizzata nell’ambito del Corso di alta formazione in consulenza familiare con specializzazione pastorale che, dopo due intense settimane di studi, si chiude domani in Trentino, a Marilleva. Il Corso, che ha visto impegnate famiglie con i loro figli, sacerdoti, religiosi e religiose da tante diocesi italiane, ma anche da associazioni e movimenti, è stato organizzato dall’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia con la Confederazione dei consultori di ispirazione cristiana, l’Istituto Ecclesia Mater di Roma, docenti provenienti da diversi Istituti e Università. Con padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio famiglia, sono intervenuti con varie modalità don Valentino Bulgarelli, direttore dell’Ufficio catechistico; don Michele Gianola, direttore dell’Ufficio vocazioni; don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio ecumenismo, don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio per i problemi sociali, suor Veronica Donatello, direttore Ufficio pastorale per le persone con disabilità, a ribadire che la pastorale dev’essere sempre più un’azione sinergica.
«La ricchezza di questo progetto – spiega il francescano padre Marco Vianelli – nasce proprio dall’intuizione di far dialogare scienze umane, teologia e prassi pastorali. Quindi lezioni, ma anche laboratori sull’ascolto e sull’accompagnamento. Quest’anno ci siamo interrogati sulla postmodernità, per capire come il matrimonio risponda o non risponda a questa sfida. L’abbiamo fatto – prosegue il direttore dell’Ufficio famiglia – sia mettendo a confronto il nostro approccio culturale con due coppie qualificate in rappresentanza di Islam e Ebraismo, sia con un dialogo tra teologi cattolici ed esperti laici, sia ancora con il tentativo di rileggere in chiave familiare il tema dell’ecologia integrale».
La tavola rotonda sui modelli familiari con un confronto aperto e rispettoso tra posizione cattoliche e posizione laiche è stato tra i momenti più interessanti del Corso, anche perché come ha detto il teologo Giuseppe Lorizio, che ha coordinato il dibattito, «abbiamo dato una prima risposta all’invito del presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, che ha invitato la Chiesa italiana a parlare con tutti e parlare a tutti. Ebbene, il dialogo con la sociologia ci ha fatto capire che spesso, parlando di famiglia e di vita, abbiamo bisogno di completare la nostra fotografia sulla realtà». Secondo don Lorizio, limitandoci a guardare dalla nostra prospettiva, andiamo incontro a due rischi: da una parte pensiamo che il mondo esterno sia tutto sbagliato, dall’altra ci lasciamo coinvolgere dalla moda di seguire le ideologie. «Da qui la necessità di continuare a dialogare con le scienze umane – ha proseguito – valorizzando gli spunti che arrivano dalle stesse ricerche».
Come quelli emersi dal contributo offerto dalla demografa Maria Castiglioni che ha presentato una serie di dati statistici letti da una prospettiva insolita, quella di una donna che oggi ha 30 anni a confronto con una madre nata tra il ’55 e il ’60. Nell’arco di una generazione moltissimo è cambiato. Trent’anni fa si sposava il 92% delle donne, oggi il 38%. Le convivenze erano l’8%, oggi sono il 62%, mentre i matrimoni che si concludevano con una separazione erano il 5% contro il 25% di oggi. Tante variazioni anche sul numero dei figli (fuori dal matrimonio trent’anni fa nasceva solo il 5% dei bambini, oggi il 31%), sugli anziani, sulla sessualità. Un dato però non è cambiato. Lo sguardo delle donne sul valore della fedeltà. Trent’anni l’89% considerava inammissibile il tradimento sessuale del partner. Le trentenni di oggi la pensavano allo stesso modo e anche il dato statistico, curiosamente, coincide. Esistono valori familiari come la fedeltà – e per fortuna tanti altri – che resistono al tempo e che ci fanno capire come ancora oggi la famiglia, pur cambiando, rimane realtà tenace e importate, soprattutto in Italia. Un solo esempio, tra i tanti proposti da Maria Castiglioni per sottolineare il valore dei legami tra le generazioni. Tra i Paesi europei, il nostro è quello dove i nonni vivono in media più vicino ai figli sposati. Il 70 per cento a meno di un chilometro. E quando si chiede a chi ha genitori anziani se la casa di riposo possa rappresentare una soluzione ideale, in Italia una risposta positiva arriva solo dall’1,9% a differenza di Svezia (43% di sì) Danimarca (32) Olanda (35), Finlandia (17), Francia (15) e Spagna (5,4). Sottolineare la forza dei legami non vuol dire però ignorare il peso e la problematicità delle trasformazioni che – come ha spiegato anche la sociologa Chiara Saraceno – vanno comprese, non ostacolate né ignorate. «Sono trasformazioni che cambiano i modelli familiari e che ci obbligano a riflettere. Per dovere verso noi stessi e verso i figli che verranno».