martedì 9 agosto 2022
Il primate anglicano all'incontro che ha visto riuniti, tra Canterbury e Londra, oltre 650 vescovi anglicani. Presente anche il cardinale Tagle
Il primate anglicano Justin Welby in una foto d'archivio

Il primate anglicano Justin Welby in una foto d'archivio - Ansa/Epa

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«Non conta quello che facciamo o che doni abbiamo o quali cose meravigliose mettiamo a punto, se non abbiamo amore gli uni per gli altri. Qualsiasi cosa esca da questa “Lambeth conference”, nel cuore deve esserci, come primo obiettivo, il rafforzamento dei rapporti tra noi».

Con queste parole il primate anglicano, l’arcivescovo Justin Welby ha cominciato, domenica mattina, il suo terzo e ultimo discorso alla convention che ha visto riuniti, tra Canterbury e Londra, dal 26 luglio a ieri, oltre 650 vescovi anglicani, in rappresentanza di oltre 85 milioni di fedeli, e mille delegati provenienti da 165 Paesi.

Un bilancio tutto in positivo per questo leader evangelico, scelto a guidare la comunione nel 2013, che è riuscito ad evitare una rottura definitiva sul tema dei matrimoni tra persone dello stesso sesso che, pure, divide profondamente gli anglicani.

È stata riaffermata, infatti, alla “Lambeth conference”, la validità della controversa risoluzione “Lambeth 1.10”, già ratificata nel 1998, che definisce il matrimonio come l’ unione duratura di un uomo e una donna e chiede la castità a chi non è sposato, pur aggiungendo che è importante ascoltare la voce di chi è omosessuale perché fa parte, comunque, della comunità che si realizza intorno al corpo di Cristo.

Tuttavia il primate Welby ha deciso di non escludere o disciplinare le province anglicane gallesi, scozzesi e americane, che, già da tempo, benedicono le unioni omosessuali come veniva chiesto dai vescovi riuniti nella “Global South Fellowship”, che rappresenta venticinque province anglicane.

Molto dure invece le parole usate da Welby per chi sfrutta poveri e migranti e non rispetta l’ambiente. «L’emergenza climatica è il risultato della guerra dichiarata dai Paesi più ricchi alla Creazione di Dio e ai poveri. I ricchi dicono ai poveri: “Noi ci terremo la nostra ricchezza e voi dovete scoprire nuove strade” – ha affermato il primate anglicano –. Sappiamo anche che i risultati della crisi, provocata da quasi 1,2 miliardi di rifugiati, saranno tragici, oltre qualsiasi previsione nella storia umana, e devastanti per così tante persone. Tacere su tutto questo vuol dire far parte degli oppressori».

La “Lambeth conference” è stata anche un importante momento ecumenico, con la partecipazione di una delegazione vaticana, della quale facevano parte il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, e il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, presidente di Caritas internationalis e prefetto del dicastero per l’evangelizzazione dei popoli, e rappresentanti luterani, ortodossi e pentecostali.

Il cardinale Koch, che non ha partecipato, per motivi di salute, e ha mandato un messaggio letto da don Anthony Currer, responsabile, presso il dicastero vaticano, dei rapporti con gli anglicani e i metodisti, ha parlato di «un’emergenza ecumenica» e della «necessità, per i cristiani, di testimoniare, insieme, Gesù Cristo superando le loro divisioni».

Il cardinale Tagle ha, invece, commentato il tema della “Lambeth conference”" “Che cosa significa essere una Chiesa di Dio per il mondo di Dio”, costruito attorno alla prima lettera di san Pietro, dicendo che sogna che la Chiesa di oggi possa tornare ad essere quella delle origini, unita, in sintonia con la natura, una vera casa di Dio.

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