Don Italo Calabrò - .
Comincia il cammino per la beatificazione di don Italo Calabrò, parroco, vicario generale dell’arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova.
Prete dei poveri, degli ultimi, dei fragili, degli esclusi, tra i fondatori di Caritas italiana, assieme a don Giovanni Nervo, don Giuseppe Pasini e don Luigi Di Liegro, ne fu anche vicepresidente nazionale.
Nato a Reggio Calabria il 26 settembre 1925, è morto prematuramente per una grave malattia il 16 giugno 1990.
“I poveri - diceva - sono i nostri padroni. I poveri sono Cristo, l’ottavo sacramento”. E nel suo testamento spirituale lasciò scritto: “Amatevi tra voi, di un amore forte, di autentica condivisione di vita; amate tutti coloro che incontrate sulla vostra strada, nessuno escluso, mai! È questo il comandamento del Signore”. E lui lo fece davvero con tutti, anche coi ragazzi difficili, coi giovani in carcere, coi figli della ‘ndrangheta, cercando di salvarli da un destino che sembrava segnato, spesso destino di morte. Un impegno concreto, molto attuale in questi giorni in cui tanto si parla di “criminali” minorenni, di carcere, di pene, e molto poco di vicinanza e accoglienza. Don Italio, invece, accoglieva questi giovani in parrocchia, a casa sua, e non pochi si sono salvati grazie a lui.
Domenica, scorsa, prima della messa pontificale in onore della Madonna della Consolazione presieduta dall’arcivescovo Fortunato Morrone, nella Basilica Cattedrale di Reggio Calabria è stata aperta l’Inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità del Servo di Dio, don Italo Calabrò, apertura che avviene dopo un periodo di circa un anno di lavori preliminari, culminati con il nulla osta da parte della Santa Sede.
Parroco di San Giovanni di Sambatello, non si è risparmiato nell’alleviare le sofferenze degli ultimi, nell’incoraggiare i giovani a fare scelte di vita fondate sulla condivisione e sulla non violenza, fu infatti tra i sostenitori dell’obiezione di coscienza al servizio militare. Non solo parole (don Italo era una grande e simpaticissimo comunicatore) ma fatti concreti, come il Centro Comunitario Agape e l'Associazione Piccola Opera Papa Giovanni.
Fu tra i primi ad accogliere gli ammalati di Aids, le persone dimesse dai manicomi dopo la riforma Basaglia che aveva chiuso queste strutture, le ragazze madri, i senza dimora. Aprì le prima case famiglie, gruppi appartamento, creando una rete di associazioni e cooperative che coinvolgevano moltissimi giovani. Anche i “difficili”. Durante la terribile seconda guerra di ‘ndrangheta (1985-90) che fece più di mille morti, si impegnò per salvare i figli dei clan in conflitto, così come per le sanguinarie faide di Cittanova e Polistena. Li ospitò in parrocchia, in altri paesi calabresi e in collaborazione con don Luigi Ciotti, anche a Torino, col sostegno del Gruppo Abele.
Molti riuscì davvero a salvarli, hanno cambiato vita grazie a lui. Anticipando di venti anni il progetto Liberi di scegliere. Così si rivolgeva ai mafiosi: “Se non potete uscirne voi, fate almeno in modo che i vostri figli non vi entrino”. Parlava chiaro don Italo. “I mafiosi si ritengono uomini e, addirittura, “uomini d’onore”: se c’è qualcuno che invece non è uomo è il mafioso, e se c’è qualcuno che non ha onore è il mafioso, i mafiosi non sono uomini e i mafiosi non hanno onore; questo dobbiamo dirlo tranquillamente con tutta la comprensione e la pietà”. Era il 2 agosto 1984, a Lazzaro, un piccolo centro a pochi chilometri a sud di Reggio, e così don Italo parlava ai sequestratori di Vincenzo Diano, appena dieci anni, nel corso di una celebrazione eucaristica di solidarietà con la famiglia.
Non mancano mai nelle sue parole quelle di perdono, di misericordia, anche per i mafiosi. Ma chiede con forza di “isolarli”, di combatterli. “Nel coraggio del suo pastore la gente ritrova il suo coraggio”, ripeteva. Aggiungendo che “la mafia non ha bisogno di complici ma di assenti”. E don Italo non era assente. Al fianco dei giovani che avevano sbagliato e che, usciti dal carcere, non trovavano nessuno ad aiutarli. Al fianco delle famiglie mafiose per cercare di salvare almeno i figli.
Così di notte, assieme ad altri sacerdoti e volontari, e col supporto delle forze dell’ordine, li andava a prendere, non per punirli ma per dar loro un’occasione, lontano, in altri ambienti. Molti di loro lo ricordano con riconoscenza, perché grazie a don Italo hanno avuto un’altra occasione.