Don Giuseppe Ghirelli nella missione di Adaba - Creative Commons
Oggi è l’unico sacerdote cattolico per oltre 20mila chilometri quadrati, nel sud-est dell’Etiopia. Un’area vasta quanto la Puglia o l’Emilia-Romagna. Don Giuseppe Ghirelli si è incamminato in questa sua seconda vita da “ fidei donum” nel 2014, a 60 anni. Dopo oltre un trentennio da parroco nel sud del Lazio, in diocesi di Anagni-Alatri, vide cambiare orizzonte al suo servizio sacerdotale quando fu accolta la richiesta di partire per un fronte di prima evangelizzazione. Quello dell’Etiopia sud-orientale, in vista del confine con la Somalia, in Oromia, regione a prevalenza islamica. La prefettura apostolica di Robe era stata eretta appena due anni prima del suo arrivo.
Come si annuncia il Vangelo in una terra dove i cristiani quasi non ci sono? «Con semplicità, condividendo la vita di ogni giorno con chi ha bisogno di cure o istruzione, precluse a tanti poveri. E testimoniando con il servizio la vita del Vangelo» spiega don Giuseppe. Che ha imparato l’inglese e la lingua afaan oromo per raggiungere il popolo che gli è affidato, ad Adaba, 2.200 metri di altitudine. Meno del 20% della terra è coltivabile, per un quarto è pascolo, per oltre metà foresta. L’unica strada non sterrata collega alla capitale Addis Abeba, 300 chilometri più a nord. Mancano luce e acqua.
Accanto a musulmani e copti ortodossi, i cattolici sono 900 su 4 milioni di persone. A cui si aggiungono circa 50 battezzati da don Giuseppe. «La Chiesa cattolica è presenza numericamente esigua, ma è un punto di riferimento sicuro per tutti, nel rispetto delle culture locali – spiega don Ghirelli –. La parrocchia è nata dove non c’era niente. Oggi conta, oltre alla scuola materna e primaria con 900 allievi, una casa-famiglia per orfani ora alla scuola superiore», che in Etiopia è una rarità. A fare loro da madre c’è Didabe, una donna che a sua volta ha ricostruito se stessa.
Attorno alla casa-famiglia, un’aula informatica, la biblioteca, un orto. «Il Vangelo e il servizio mantengono giovani » sorride don Giuseppe, che ha appena compiuto 66 anni. Davanti a lui il campetto dove arrivano a giocare a calcio da tutta l’area. Una risorsa educativa nel Paese che ha metà della popolazione sotto i 20 anni. «È raro che vedano connazionali di etnie diverse convivere come fratelli, come succede ai nostri giovani» spiega. La nazione stessa è costituita da regioni etnicamente divise. E in Oromia è forte lo spirito indipendentista, dopo decenni di repressione su base etnica e spartizione delle ricchissime risorse minerarie. Dal 2018 l’Etiopia esprime per la prima volta un premier di etnia oromo, Abyi Ahmed, inatteso simbolo di unità in una nazione a rischio implosione con i suoi oltre 80 gruppi etnici, premio Nobel per la pace 2019 per il trattato che ha chiuso la lunga crisi con l’Eritrea. «Siamo fieri in quanto nazione » scandisce Ahmed.
Le disastrose contrapposizioni regionali infatti hanno relegato in secondo piano le vere priorità di sviluppo etiopico, a partire dall’istruzione. Anche grazie a don Giuseppe, almeno quella primaria non è più elitaria ad Adaba. «Per tanti l’equivalente di 2,50 euro per l’iscrizione e 5 per penne e quaderni sono una spesa proibitiva. Non mandano i figli a scuola -aggiunge-Allora interveniamo, con l’aiuto dei fedeli italiani, specie le diocesi di Anagni- Alatri e Palestrina, sempre vicine a questa missione». Anche con soggiorni di seminaristi e di giovani del territorio. Il prossimo gruppo partirà dopo Natale, guidato da don Franco Proietto, “cuore missionario”, che prima di don Giuseppe fu “pontiere” del Vangelo nel sud dell’Etiopia.