venerdì 3 novembre 2023
A conclusione della visita pastorale alla metropoli, l’arcivescovo ha indirizzato un articolato messaggio alla comunità. «Mi sono reso conto che la città non è una sola realtà»
L’arcivescovo Mario Delpini in visita all’Opera Cardinal Ferrari, storica e vitale realtà di accoglienza milanese

L’arcivescovo Mario Delpini in visita all’Opera Cardinal Ferrari, storica e vitale realtà di accoglienza milanese - Fotogramma

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«Ho fatto visita alla città: ho visto la grande Babilonia, ho visto i segni della nuova Gerusalemme». Ed ora «voglio invocare la benedizione di Dio per tutti». La benedizione «non è una parola magica per una qualche scaramanzia» ma «una dichiarazione di alleanza. Dio è alleato del bene, Dio è alleato per le imprese di bene che danno vita e speranza alla città». Si chiude con l’invito ad abitare e rinnovare Milano nell’abbraccio di questa alleanza, e riaffermando la certezza che «la terra è piena della gloria di Dio» – come ricorda il suo stesso motto episcopale, Plena est terra gloria eius – il testo che l’arcivescovo Mario Delpini consegna a conclusione della visita pastorale alla metropoli. Non una, ma “Sette lettere per Milano” – questo il titolo del documento – per condividere le riflessioni nate dalla visita che tra il gennaio 2022 e il giugno 2023 lo ha portato in tutte le 172 parrocchie della città. Il testo – arricchito dal discorso di Delpini al Consiglio comunale pronunciato il 25 settembre 2023 – porta la data del 4 novembre, festa di san Carlo, patrono della città e della diocesi.

Perché sette lettere e non una? «Ho fatto visita alla città. Ho visto molte città, volti, situazioni, storie, feste, gemiti», spiega il presule aprendo il suo messaggio. «Ho vissuto la visita alla città come la donna del Vangelo che cerca la moneta perduta». E «ho trovato molte ragioni per rallegrarmi». A Milano, «infatti, ci sono molti segni del Regno di Dio che è venuto» e «la comunità cristiana è presenza attiva, apprezzata, generosa». Eppure «preghiamo ancora: “Venga il tuo regno!”. Quante domande, quante povertà, quante tristezze! – riconosce il presule –. Quello che non ho trovato è la pienezza della gioia, l’evidenza della speranza, lo zelo semplice e tenace per annunciare il Vangelo con la parola e la testimonianza a servizio dell’attrattiva di Gesù verso tutti».

Il presule aveva pensato di scrivere una “Lettera alla città”». Ma «mi sono reso conto che la città non è una sola». Quindi, trovando «ispirazione nei primi capitoli del Libro dell’Apocalisse» dove «l’autore scrive alle sette Chiese» riconoscendo «la santità e i peccati» di ciascuna, ecco l’idea di queste “Sette lettere per Milano”, nella consapevolezza che «ogni presente è tempo di apocalisse, ogni comunità che si raduna è assemblea santa che ascolta la Parola, interpreta la storia, celebra la gloria del Risorto».

Il titolo della prima lettera: “All’angelo della Chiesa che abita tra i flussi scrivi...” «Conosco il tuo sconcerto tra i flussi della popolazione inafferrabile, degli incontri troppo precari», sono le prime parole della missiva. «Vedi e patisci l’andare e venire di chi non trova casa, di chi ha troppe case, di chi è lontano da casa». Il presule confessa la sua «ammirazione» perché «nel nome del Signore le porte rimangono aperte» e lo Spirito suscita «pensieri nuovi e tentativi forse ancora timidi perché il tuo volto sia quello della Chiesa dalle genti e della Chiesa “in uscita”». «Devo però incoraggiarti a più grande fiducia e a un pensiero più coraggioso per immaginare una geografia inedita del campo in cui seminare».

La seconda: “All’angelo della Chiesa che è nella città della ricchezza scrivi... ” Ecco: si scriva che «abiti nella città dei ricchi, santa Chiesa di Dio, perché il Padre vuole che tutti siano salvati: perciò ti incoraggio a non tacere la parola del Vangelo che condanna la ricchezza accumulata ingiustamente, la ricchezza morta sepolta che non porta frutto per nessuno, la ricchezza della diseguaglianza scandalosa. So però che, nella città dei ricchi, abitano uomini e donne che vivono la loro condizione come responsabilità di prendersi cura di tutti, di mettere a frutto i loro beni perché diventino beni comuni, producendo condizioni giuste di lavoro, opportunità di sviluppo per la città, solidarietà generosa con i poveri della città e i poveri del pianeta». Dunque: «continua ad annunciare ai ricchi il Vangelo perché la salvezza entri nelle loro case, come nella casa di Zaccheo».

“All’angelo della Chiesa che abita nella solidarietà, scrivi...” s’intitola la terza. «Le risorse limitate e la complessità delle storie personali lasciano in città troppa miseria e troppa desolazione», sottolinea il presule. In questo scenario la comunità cristiana, con le sue iniziative di carità, offre «un quadro meraviglioso e persino sorprendente per quantità e qualità». Tuttavia: i volontari sono sempre meno e manca il ricambio generazionale. «Si registrano inoltre situazioni sociali sempre più complesse, uno scoraggiante aumento delle necessità, un panorama di povertà inedite» e «si constata che le istituzioni rivelano inadeguatezze e disattenzioni». Di fronte al senso di impotenza che può paralizzare la solidarietà, Delpini chiama ad affidare alla «benedizione di Gesù» i «pochi pani e i pochi pesci» che abbiamo.

Un invito ad affidarsi che si ripropone nella quarta lettera, “All’angelo della Chiesa che abita nelle ferite scrivi ...” Anche qui lo scenario offerto da Milano è inquietante: «le famiglie mostrano le loro ferite; gli adolescenti preoccupano; gli anziani sono tristi; i giovani sono sfiduciati; i lavoratori si logorano, si espongono a pericoli e non riescono a tirare avanti; i delinquenti rovinano i ragazzi e inquinano l’economia». Quel che si fa per rispondere alle ferite della metropoli, non basta mai. E ti trovi pure a fare i conti con chi «visita i drammi per farne spettacolo» e chi «esibisce il lusso senza provarne vergogna». Ebbene: «per curare le ferite dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, noi dobbiamo continuare a credere in Gesù». «Senza di lui non possiamo fare nulla». E «non riusciamo a dare nessuna speranza se non preghiamo, se non aiutiamo a pregare, se non insegniamo a pregare».

La quinta lettera: “All’angelo della Chiesa che abita nell’audacia del pensiero scrivi...” Siamo nella Milano delle università, della ricerca scientifica, del sapere d’eccellenza, degli ospedali d’avanguardia – scenario nel quale svolgono un servizio peculiare e prezioso realtà come l’Università Cattolica e le scuole paritarie. «I cristiani non possono ignorare che alcune espressioni del pensiero e della sensibilità contemporanea assumono come dogma indiscutibile l’autoreferenzialità dell’individuo. Si orientano così la scienza, la politica, l’economia – denuncia l’arcivescovo – al servizio dell’individualismo scriteriato dei potenti, dei ricchi, dei superbi che umiliano i poveri e sfruttano con insensata avidità le risorse del pianeta». Costoro «dispongono di strumenti di persuasione capaci di convincere a prostrarsi di fronte alla prepotenza mondana, ribelle e indifferente alla volontà di Dio». Ebbene: «i discepoli di Gesù che abitano le frontiere della ricerca devono essere testimoni di una verità più luminosa, di un’economia più giusta, dell’ecologia integrale e della fraternità universale. Sono chiamati a confrontarsi con franchezza, lucidità, lungimiranza per un discorso persuasivo che mostri che la verità cristiana non mortifica il pensiero umano, ma anzi lo incoraggia a spingersi sempre oltre, nella direzione del bene comune, della giustizia, della pace».

La sesta lettera: “All’angelo della Chiesa che abita nella solitudine, scrivi...” E sono parole dedicate alle tante solitudini, subite o cercate, che feriscono la carne di Milano. Ma «non è bene che l’uomo sia solo», come si legge nella Genesi. «Perciò i discepoli di Gesù formano la Chiesa», casa accogliente che tutti attende. L’arcivescovo li incoraggia a «praticare l’arte del buon vicinato». «Le comunità – suggerisce inoltre il presule – possono anche inventare, con realismo e intelligenza, forme nuove di condivisione degli spazi per evitare lo scandalo di case troppo vuote e di troppe persone senza casa».

“All’angelo della Chiesa che abita la disperazione, scrivi...” è il titolo della settima e ultima lettera. Lo scenario è quello di una società che ritiene che la vita venga dal nulla e sia destinata al nulla. Gesù è risorto? Noi risorgeremo con lui? Un annuncio «insigificante» e una promessa «inaffidabile». «Che cosa farai, allora, Santa Chiesa di Dio? Non devi fare altro che restare fedele alla missione e continuare a testimoniare il Vangelo che hai ricevuto: molta gente non vorrà ricevere la Parola che annunci, ma la tua missione non dipende dalla popolarità o dal consenso, ma dal Signore Gesù che è vivo, presente sempre».

A chiudere il messaggio, come detto, è una parola di benedizione offerta a tutti. «Benedici, Signore, questa nostra città, tutto il bene, tutto il male, tutti: quelli che vengono da lontano e quelli che abitano qui da generazioni. Fratelli tutti!». Quindi: «benedici, Signore, le comunità dei tuoi discepoli, le nostre parrocchie, le nostre presenze amiche e vive di un’ammirevole sollecitudine nei quartieri e nei condomini. Benedici i tuoi discepoli perché siano per tutti parola di Vangelo, messaggio di speranza, invito alla comunione. Signore, benedici tutti!».





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