Il pontificale dell'arcivescovo Mario Delpini - Itl/Mariga
«Anche se è evidente, oggi, la disaffezione verso la politica», essere cristiani dediti unicamente alla carità e alla solidarietà, seppure fondamentali, non basta. Infatti, «non siamo autorizzati all’indifferenza, non perché abbiamo qualche cosa da rivendicare, dei privilegi da difendere, come talora si dice, ma perché ci sta a cuore il bene comune. E neppure si può immaginare che tocchi ai vescovi dire che cosa si deve fare, ma è urgente che ci siano presenze significative nella società e nella politica. Intorno al bambino che è nato si sono raccolti poveri pastori e magi sapienti. Gente semplice e intellettuali esperti sono chiamati a convenire e a ricavare la luce per illuminare ogni aspetto della vita umana: il lavoro, la cultura, la vita personale e sociale».
È un richiamo senza mezzi termini quello che l’arcivescovo Mario Delpini, nel Pontificale presieduto nella solennità dell’Epifania in Duomo, ha rivolto ai tanti fedeli presenti e, idealmente, a tutti coloro che «continuano a cercare la luce, ad adorare il bambino».
Un essere cittadini consapevoli che mai come adesso appare necessario. «Considerato il gran numero di coloro che sono contagiati o che, per cautela, hanno celebrato questi giorni in modo dimesso, desidero invocare la benedizione, perché la gioia della manifestazione del Signore possa accompagnarci e sostenere soprattutto i malati e i sanitari che si dedicano loro con grande sacrificio. Che questo ci renda cittadini di questo tempo, ci convinca a quei comportamenti ragionevoli a quelle attenzioni che possono contenere il diffondersi del virus, preparando un contesto in cui la nostra vita sociale, le attività e gli impegni si possano svolgere con intensità e serenità», ha sottolineato monsignor Delpini al termine della celebrazione, nella quale, più volte, ha ribadito la necessità dell’impegno e del «non essere indifferenti».
Dopo l’annuncio della Pasqua che verrà celebrata, quest’anno, il 17 aprile prossimo, l’omelia dell’arcivescovo è stata infatti una precisa indicazione. Nell’evidente «dilemma», come lo ha definito, «che ha percorso i secoli, ha segnato la storia della Chiesa e anche diviso i credenti in fazioni opposte, in partiti che si sono confrontati con asprezza», che fare, dunque, di fronte a una complessità che non ammette facili ricette risolutive?
Anzitutto, ha scandito il presule, sapendo che «i cristiani non sono esonerati da responsabilità pubbliche e da scelte politiche. I discepoli di Gesù non sono gente che vive fuori dalla storia, che coltiva una religione fatta di devozioni che non incidono nelle scelte pratiche».
Insomma, il criterio di giudizio deve essere sempre quello della promozione del bene comune e della giustizia, anche laddove ciò può essere pericoloso per cristiani "che resistono al tiranno e trasgrediscono l’imposizione del potere autoritario".
«La storia di infinite persecuzioni e di innumerevoli sofferenze – ha concluso –, subite dai cristiani nei secoli passati e oggi forse anche più numerose e crudeli, è la storia di questa libertà che non si piega al potere utilizzato per imporre una parte su un’altra, un interesse particolare a dispetto della vita, della dignità, della libertà delle persone».