Milano: l'arcivescovo Delpini alla veglia «in Traditione Symboli», in Duomo, con i giovani e i catecumeni
Di fronte al politico che «usa una frase o l’altra del Vangelo in modo strumentale» solo per portare acqua al suo mulino, «noi cristiani ci poniamo come chi vota contro. Non possiamo essere d’accordo con chi, magari facendo riferimento a una frase del Vangelo, dimentica tutte le altre e strumentalizza quella frase o quella pagina per guadagnare consenso», scandisce l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, davanti ai catecumeni raccolti nel Salone Pio XII di Casa Cardinal Schuster, in via Sant’Antonio, nel cuore del capoluogo lombardo. «Non si guadagna il consenso politico citando il Vangelo – insiste il presule – ma proponendo un programma politico ispirato e orientato al bene comune». Dunque: «In democrazia noi sosteniamo quelli che cercano il bene comune. Che citino il Vangelo, il Corano, la Costituzione italiana o altro, noi dobbiamo valutare le persone e il programma, non le citazioni con cui si giustificano».
È un incontro importante, atteso, e che si rinnova ogni anno, quello dell’arcivescovo con gli adulti che a Pasqua riceveranno il Battesimo. Sono 116 in tutta la diocesi di Milano i catecumeni che quest’anno si accostano al fonte. In maggioranza donne, ben 76, sono volto eloquente della Chiesa ambrosiana come Chiesa dalle genti (come ha confermato e rilanciato il Sinodo diocesano minore celebrato nel 2018): 41 gli italiani, 24 gli albanesi, sei i peruviani, cinque i cinesi, dodici gli africani... E più di settanta sono sotto i 35 anni. È a partire dalle loro domande che nel pomeriggio di sabato 13 aprile (poche ore prima della Veglia in Traditione Symboli che, con i catecumeni e Delpini, ha raccolto in Duomo cinquemila giovani da tutta la diocesi) si è sviluppato il dialogo fra i nuovi cristiani milanesi e il successore di Ambrogio. Un’occasione per parlare di testimonianza cristiana, di vita vissuta come dono, com’è quando si vive restando in comunione con Gesù. E per riflettere sulle responsabilità dei cristiani nella politica e nella città. «Come porsi con chi fa un uso politico del Vangelo?», chiede un catecumeno.
«Vangelo, fermento che rende buone anche politica e economia»
«Per quanto sia oggi screditata, la politica è una parola nobile – risponde l’arcivescovo –. Vuol dire cura per il bene della città, per il bene comune. Il Vangelo non propone una morale individuale ma incoraggia a prendersi a cuore il bene comune. La comunità radunata a nome del Vangelo è una comunità che costruisce la città. Chi vive il Vangelo deve fare politica», prosegue Delpini. E non c’è solo l’impegno politico o amministrativo diretto: «Tutti dobbiamo sentire la responsabilità di costruire una città fondata sulla giustizia, la solidarietà, la convivenza pacifica, dove i figli di Dio vivono da fratelli». C’è dunque un «senso positivo» nell’«uso politico del Vangelo»: ed è quando il Vangelo è accolto e inteso come «fermento che rende buone tutte le cose della terra, anche la politica, l’economia, la cura del creato».
«Se qualcuno propone leggi razziali, i cristiani devono dire no»
Ma c’è anche un uso strumentale del Vangelo, riconosce Delpini, chiamando alla vigilanza e alla responsabilità. «La democrazia si decide con i voti. E i voti vengono dati dai cittadini che quanto più ragionano, pensano, discutono, tanto più possono essere lucidi nel valutare la scelta da fare». Tira le somme l’arcivescovo: «Il Vangelo come tale dovrebbe essere non dentro la politica, come uno strumento per guadagnare consenso, ma dovrebbe stare all’interno delle persone per ispirare e dare concretezza alle loro scelte politiche, orientandole al bene comune». Dunque: «Noi abbiamo il diritto di criticare, di votare contro, di fare proposte alternative, di far convergere il consenso dove ci sembra che il programma politico sia più coerente» con l’edificazione del bene comune. «Noi cristiani dovremmo inserire nella società italiana, là dove siamo, una passione per il bene comune»: ma sempre con realismo, consapevoli che «la politica è un po’ uno scegliere il meglio che c’è», aggiunge Delpini, criticando chi si astiene dal voto e dalla partecipazione politica perché non trova il programma o il partito «perfetto» (che «non esiste», sottolinea subito). A volte «giusto e sbagliato sono mescolati, la storia è complessa». Altre volte invece no: la distinzione è chiarissima. «Se qualcuno propone leggi razziali, come è successo in Italia, i cristiani devono dire no».
«Anche chi opera nelle istituzioni deve rendere conto a Dio»
Dio c'è anche per i politici. A lui dovranno rendere conto se hanno servito l'uomo, se si sono presi cura del debole, o se hanno privilegiato altri interessi e tornaconti. Così aveva detto Delpini nell'omelia pronunciata lunedì 25 marzo, solennità dell'Annunciazione del Signore, presiedendo la Messa per l'antica «Festa del Perdono» nella chiesa dell'Annunciata, la chiesa della Ca' Granda, la storica sede dell'Ospedale Maggiore di Milano (oggi "casa" dell'Università Statale), della quale l'arcivescovo di Milano è parroco dai tempi di san Carlo Borromeo. «Dio non impone regimi né leggi. Dio vuole che gli uomini che operano nelle istituzioni sappiano che devono rendere conto a lui dell'esercizio delle loro responsabilità. A loro sarà domandato se hanno speso i loro talenti e hanno messo le risorse a servizio dell'uomo o di qualche altra finalità, se si sono presi cura del debole o di qualche altro interesse», aveva spiegato il presule. «La vita pubblica e il potere politico», aveva aggiunto, non sono «settori della vita sottratti ad ogni giudizio morale». Comportano, piuttosto, «una responsabilità a servizio del popolo, della pace, della riconciliazione tra i popoli». La Messa presieduta da Delpini lo scorso 25 marzo aveva preceduto l'inaugurazione dello spazio espositivo «I Tesori della Ca' Granda» alla quale erano intervenuto il ministro dell'Interno Matteo Salvini, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e il sindaco di Milano Giuseppe Sala.
«Dio fa della storia umana un luogo di responsabilità e servizio»
Nella storia umana, aveva annotato l'arcivescovo in omelia riflettendo sulle letture offerte dalla liturgia del giorno, ricorrono e si rinnovano due atteggiamenti: quello di chi «esclude Dio quale riferimento nell'esercizio della vita politica e dell'attività economica»; e quello di chi, «al contrario, strumentalizza Dio per giustificare le sue scelte e imporre il suo potere». Ebbene: «L'esclusione di Dio dalla vita pubblica censura un riferimento che orienti le scelte, finisce per togliere fondamento solido al riferimento ai valori, perciò apre la porta all'arbitrio e al calcolo meschino, all'arroganza e all'autoritarismo». Proprio il racconto evangelico dell'Annunciazione mostra il vero volto di Dio: «un Dio che si fa uomo, che entra nella vita di Maria e nella storia del popolo, che sollecita la libertà e e provoca la responsabilità. Un Dio che manda il suo Figlio per chiamare tutti a diventare suoi figli, a vivere da figli di Dio». L'Annunciazione mostra inoltre il «significato cristiano della vita», che è «vocazione», invito a essere «alleati di Dio» nell'«opera della salvezza», e rivela la «dignità» intangibile di ogni persona, che mai può essere ridotta a «numero» o a «materiale biologico». Ebbene: Maria di Nazareth, aveva concluso l'arcivescovo, «ci insegna che Dio c'entra perché fa della mia vita una vocazione, e che Dio c'entra perché fa della storia umana un luogo in cui esercitare la propria responsabilità a servizio di tutti».