venerdì 4 dicembre 2020
Nel discorso alla Città per S. Ambrogio dell'arcivescovo al centro le difficoltà di oggi, che si possono superare recuperando la fede in Dio, il ruolo della famiglia e la vocazione alla fraternità
L'ingresso dell'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, in Sant'Ambrogio per il discorso alla città. Presenti i sindaci della diocesi

L'ingresso dell'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, in Sant'Ambrogio per il discorso alla città. Presenti i sindaci della diocesi - Foto dal sito Chiesadimilano.it

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«Tocca a noi, tutti insieme», affrontare l’«emergenza spirituale» innescata dalla pandemia ma che ha la sua «radice antica» nella cancellazione del «riferimento a Dio da gran parte della cultura occidentale».

Una «censura» che ha «impoverito il pensiero» e rimosso «il fondamento della speranza». Tocca a noi, tutti insieme, «dare volto a percorsi condivisi», assumere la «responsabilità di una visione» i cui «tratti fondamentali» sono «la famiglia, cellula che genera la società e il suo futuro», «la vocazione alla fraternità tra le persone e all’amicizia tra i popoli», la consapevolezza che «possiamo avere fiducia». Tocca a noi, tutti insieme, «scrivere una storia migliore» affrontando «il compito irrinunciabile dell’educazione» e «la costruzione della comunità plurale».


È l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, a dare voce a quel «noi», alla sua vocazione, responsabilità, missione. Ancor più in questi «mesi della pandemia» che «hanno decretato il fallimento dell’“io” e dell’individualismo».

L’occasione: il Discorso alla città e alla diocesi che il presule ha pronunciato questa sera nella Basilica di Sant’Ambrogio, durante i Vespri per la solennità del patrono (trasmessi in diretta dai media diocesani e da Rai 3, a cura della Tgr Lombardia, con il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, nella veste di commentatore).
Tocca a noi, tutti insieme è il titolo che Delpini ha scelto per la riflessione offerta, come tradizione, al cospetto di amministratori pubblici e politici. Un Discorso che si apre con una provocatoria citazione biblica: il profeta Geremia che, mentre si profila la caduta di Gerusalemme e la deportazione del popolo, «firma un contratto per acquistare un campo, fa un investimento sul futuro». Ecco il punto. «Milano ha visto momenti assai più drammatici»: ma è una «emergenza spirituale», uno «smarrimento del senso dell’insieme che riduce in frantumi la società e l’identità personale», uno spegnersi della speranza, quel che la pandemia ha portato alla luce. In realtà: se la città «funziona anche sotto la pressione della pandemia» è per i tanti, nelle istituzioni, negli ospedali, nei servizi, nelle famiglie, nelle parrocchie, che sono rimasti al loro posto moltiplicando l’impegno. «Anch’io – riprende Delpini – per quello che posso e secondo le mie responsabilità, rimango al mio posto e, imitando Geremia, ho deciso di comprare un campo, cioè di seminare speranza».

Come? Offrendo una lettura – sapiente e sapienziale – di questa drammatica stagione storica. Additando una «visione», chiamando alla «condivisione», invocando una «decisione», un «tocca a noi» che interpella la comunità cristiana e – nell’alveo di una «tessitura di alleanze» – convoca tutte le componenti della società milanese. Il «tocca a noi» è la risposta del cristiano che «intende la vita come vocazione a dare gloria a Dio nel servizio dei fratelli», sottolinea l’arcivescovo. «Tocca a noi, devoti al nostro patrono sant’Ambrogio, farci avanti, come è toccato a lui entrare in una Chiesa segnata da conflitti e confusioni, per dare volto all’umanesimo ambrosiano». Ma nessuno è escluso dall’appello. Perché «siamo tutti sulla stessa barca e ci si può salvare solo insieme», ricorda papa Francesco. E serve una visione – come quella dell’enciclica Fratelli tutti –, serve «sognare insieme» – come insegnava il cardinale Carlo Maria Martini – per dare fondamento alla società, motivazione all’economia, «mantenere l’identità di un popolo anche nella molteplicità delle sue componenti».

I tratti irrinunciabili di questa visione? La famiglia (la cui «centralità» è «la condizione per il benessere di tutti», e che le istituzioni sono chiamate a sostenere), la vocazione alla fraternità, la fiducia che «aggiustare il mondo» è possibile. Perché la visione divenga «sogno condiviso» e cammino condiviso, ci sono «due compiti irrinunciabili, complicati, drammatici» che «tutti insieme» dobbiamo affrontare: l’educazione – libertà e responsabilità dei genitori, in alleanza con le istituzioni, la società, la Chiesa – e la costruzione della comunità plurale – dove scegliere «se essere vittime di una globalizzazione delle paure e degli scarti o protagonisti nell’edificazione di una comunità plurale che pratichi la cultura dell’incontro».

In questo cammino, insiste Delpini, «non esistono però scorciatoie. L’autoritarismo decisionista, la seduzione di personaggi carismatici, le scelte “facili” del populismo non rispettano la dignità delle persone e spesso conducono a disastri. Gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati ai percorsi lunghi della formazione, della riflessione, del dialogo costruttivo, della tessitura di alleanze convincenti». A queste alleanze la Chiesa ambrosiana vuole partecipare, portando in dote l’esperienza rappresentata da cammini di riforma e rigenerazione come l’attuazione degli orientamenti del Sinodo minore «Chiesa dalle genti» e la promozione delle «comunità educanti».
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