mercoledì 2 ottobre 2019
Dire la verità ha un costo. Ma oggi i comunicatori cristiani devono restituire alle parole il loro vero senso. Dopo l'udienza del Papa per i 60 anni, parla la presidente dell'Unione stampa cattolica.
Il logo speciale per i 60 anni dell'Ucsi

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«E’ coraggiosa! Parla con forza!». Accantona un istante il discorso che ha preparato, il Papa, per non lasciar scivolare via le parole affettuose e intense che Vania De Luca gli ha appena rivolto a nome dell’Unione cattolica stampa italiana, che presiede. È solo una battuta, ma rende l’atmosfera in Vaticano il 23 settembre quando l’Ucsi è stata ricevuta per celebrare i suoi 60 anni. Un incontro divenuto occasione per una serie di impegnative consegne, da una parte e dall’altra.
Presidente De Luca, quale "fotografia" dell’Ucsi avete portato al Papa, tra questioni aperte, nodi da sciogliere, progetti per il futuro?
Almeno tre: la prima è in realtà un album, rappresentato da noi stessi e dalle associazioni sul territorio: 200 persone nella Sala Clementina in rappresentanza di tutte le regioni italiane, undici consulenti insieme al consulente nazionale padre Francesco Occhetta... Da molti anni desideravamo un incontro unitario dellUcsi col Papa e ci ha riempiti di gioia il fatto che si sia potuto realizzare per il 60° dell’associazione. Al Papa abbiamo raccontato – e questa è la seconda fotografia – le difficoltà del giornalismo e dei giornalisti in un tempo in cui ci sembra a volte di raccontare un mondo impazzito, in cui ci sono foreste che bruciano, fiumi di persone ridotte a numeri, un’economia che guarda al profitto di pochi e alimenta la povertà di tanti, molta cronaca nera, politiche nazionali e internazionali che faticano a uscire da particolarismi ed egoismi per ritrovare le strade del bene comune. La terza foto è una domanda: come continuare a essere presenza di luce, sale e lievito nel contesto informativo in un clima tanto diverso rispetto quello in cui l’Ucsi nacque.
Francesco ha parlato della necessità per i giornalisti cattolici di «dire la verità a ogni costo», una «parresìa sempre rispettosa, mai arrogante». In tempi di divisioni profonde, come va inteso questo invito?
Oggi si comunica non solo con quello che si dice ma con ciò che si è, la credibilità dei giornalisti passa anche attraverso la personale testimonianza e coerenza, oltre che tramite le competenze professionali. Dire e testimoniare la verità a volte può avere un prezzo, ma solo questo rende liberi.


Siamo ubriacati da «parole vuote» e in credito di «parole vere», secondo le espressioni usate dal Santo Padre. Come si diventa – o si torna – capaci di distinguere tra le une e le altre?
Restituendo alle parole il loro significato più autentico e profondo, e condividendolo. Nell’ultimo numero della nostra rivista Desk, Raccontare la comunità, presentiamo una interessante ricerca commissionata al centro Catchy, che con un’analisi attraverso i social ci aiuta a comprendere quali parole o gruppi di parole aiutano la coesione sociale e quali invece sono portatrici di disgregazione e divisione.
L’informazione è prodiga di contenuti che inducono sfiducia e indifferenza. C’è davvero spazio per le «buone notizie che generano amicizia sociale», come vi ha detto Francesco?
Io credo di si. Non solo c’è lo spazio ma c’è pure la necessità, anche se non tutti se ne rendono conto e c’è un buon "mercato" dell’opposto. Non a caso il Papa ci ha invitato a rovesciare la gerarchia standardizzata delle notizie, per dare voce a chi non ne ha.
C’è un’idea che l’Ucsi porta a casa dall’incontro col Papa come patrimonio da condividere con tutti i comunicatori cattolici?
Direi che tutto il messaggio che del papa è pieno di spunti preziosi, ma forse sottolineerei quell’invito a costruire comunità di vita e di pensiero capaci di leggere i segni dei tempi. Che altro non sono che buone notizie.

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