giovedì 21 marzo 2019
«Senza l’Amazzonia il mondo non sopravviverà, ci giochiamo il futuro». E sul prossimo Sinodo: difesa di Creato ed evangelizzazione dei popoli indigeni aspetti interconnessi
Il cardinale Cláudio Hummes è il presidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), che sta coordinando il cammino verso l’evento ecclesiale dell’ottobre prossimo «Per la Chiesa è un banco di prova davvero importante» / Siciliani

Il cardinale Cláudio Hummes è il presidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), che sta coordinando il cammino verso l’evento ecclesiale dell’ottobre prossimo «Per la Chiesa è un banco di prova davvero importante» / Siciliani

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«L’Amazzonia riguarda tutti: lì in gioco il futuro del pianeta e dell’umanità. Senza l’Amazzonia il mondo non sopravviverà. Mai come oggi i popoli originari amazzonici e tutto il loro territorio sono così gravemente minacciati». Il cardinale Claudio Hummes, presidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), ha denunciato con forza il neo-colonialismo feroce e predatorio che invade e distrugge questo patrimonio di biodiversità ed espelle e massacra i suoi popoli. Mentre si svolge a Washington l’incontro alla Georgetown University, il cardinale brasiliano ha voluto spiegare ad «Avvenire » anche perché l’Amazzonia è un test decisivo per la Chiesa.

Lei è stato vescovo di San Paolo che è lontano dall’Amazzonia. Come ha finito per occuparsene?

La Laudato si’ mi ha cambiato molto l’orizzonte delle cose. Mi ha aperto gli occhi a una visione nuova. Anche sulle responsabilità della Chiesa per la cura della casa comune, per la salvaguardia di tutta la creazione a partire dalla fede, da Gesù Cristo. La Chiesa ha il dovere di curare l’ambiente, come una ma- dre il suo bambino. Ma la sveglia in questo senso era però partita da prima. Quando? Ad Aparecida l’allora arcivescovo Bergoglio mi disse che era rimasto impressionato da come i vescovi brasiliani della regione amazzonica parlavano delle sfide della Chiesa in quel grave contesto, e questo lo aveva risvegliato su ciò che significava l’Amazzonia. Quando, poi, nel 2013 venne a Rio de Janeiro per la Gmg, nel discorso ai vescovi brasiliani, disse che l’Amazzonia rappresentava un test decisivo per la Chiesa.

Che vuol dire che è un test decisivo per la Chiesa?

Vuol dire che non possiamo perdere l’Amazzonia, non possiamo sbagliare lì come Chiesa. È un banco di prova. È necessario che formi un clero autoctono e sia coraggiosa nel trovare nuove condizioni per avere un volto amazzonico. Che prenda insomma decisamente l’impegno di avviare un processo di conversione missionaria e pastorale, incarnata e inculturata nelle culture della regione, quindi interculturale, dato che nel territorio convivono molte culture diverse.

Due temi quindi sono in agenda al Sinodo: ecologia e presenza della Chiesa nella regione

Non sono due, è uno solo! Tra noi e la natura non esiste separazione. Tutto è interconnesso. Il grido della natura e il grido dei poveri sono il medesimo unico grido. Non esistono perciò due crisi separate: una sociale e una ambientale, c’è una sola unica e complessa crisi socioambientale. Di conseguenza non si può separare la cura dei poveri dalla cura della casa comune. Le soluzioni richiedono pertanto un approccio integrale per contrastare la povertà, per restituire dignità agli esclusi e, simultaneamente, prendersi cura della natura.

Qual è insomma l’obiettivo principale del Sinodo?

L’evangelizzazione incarnata nella cultura dei popoli indigeni in una prospettiva di ecologia integrale. Il Sinodo per l’Amazzonia promuoverà l’inculturazione della fede cristiana nelle culture dei popoli indigeni del territorio perché dobbiamo riconoscere che finora si è fatto poco in questo senso. Dopo 400 anni di evangelizzazione non siamo riusciti lì a far nascere una Chiesa inculturata. Finora la Chiesa ha difeso i diritti umani degli indios, ma noi dobbiamo fare un passo avanti, dobbiamo andare verso una Chiesa indigena: aiutare cioè la nascita di una chiesa che esprima pienamente la fede nella sua cultura, nella sua propria identità, e per questo saranno gli indios gli interlocutori privilegiati.

La Chiesa universale sarà così chiamata a confrontarsi sulla diversità e la necessità dell’inculturazione…

La Chiesa non può essere uguale dappertutto. Il Papa ha parlato della necessità dell’inculturazione nelle diverse culture locali: 'Anche Cristo si è incarnato in una cultura, l’ebraismo, e, a partire da esso, Egli offrì se stesso come novità a tutti i popoli'. Nella storia della Chiesa, il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale. Nell’inculturazione la Chiesa introduce i popoli con le loro culture nella sua stessa comunità, perché i valori e le forme positivi che ogni cultura propone arricchiscono la maniera in cui il Vangelo è annunciato, compreso e vissuto. Una cultura sola non è capace di mostrarci tutta la ricchezza di Cristo e del suo messaggio.

Ma da un Sinodo come può nascere una Chiesa indigena?

Una Chiesa indigena non si fa per decreto. E certo neppure con un Sinodo. Ma questo può aprire il cammino ad un processo verso una Chiesa finalmente inculturata.

Verranno quindi ripensati anche i ministeri…

Il punto è come essere a servizio di quella comunità. I ministeri debbono certamente essere pensati a partire da quella comunità specifica, dalla sua cultura, dalla sua identità, dalla sua storia. Se parliamo di una Chiesa che deve inculturarsi, anche i suoi ministeri devono inculturarsi. Non si può impiantare da fuori senza che passi dentro il processo di inculturazione. Nel Sinodo si discuterà perciò di questo per il contesto specifico dell’Amazzonia. Non è un Sinodo per ridiscutere i ministeri nella Chiesa.

Cosa spera da questo Sinodo? Voglia il Cielo che una tale conversione missionaria e pastorale sia realizzata dalla Chiesa nel mondo intero. Il processo che il Sinodo per l’Amazzonia può mettere in moto in questa prospettiva potrà aiutare la Chiesa intera a calarsi in ogni realtà, rispettando e valorizzando la ricchezza della diversità e delle peculiarità culturali di ciascun popolo e allo stesso tempo ad assumersi la responsabilità di accorrere al grido dei poveri come a quello della casa comune, prendendosene cura perché tutto è insieme e interdipendente. Solo così la Chiesa compie la sua missione universale. La grandezza di questo Sinodo sta tutta qui.

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