giovedì 13 maggio 2021
Parla il carmelitano Gambalunga che da postulatore ha studiato la causa di beatificazione dell'ultima veggente di Fatima. «Teneva sempre con sé il Rosario dono di Wojtyla»
Giovanni Paolo II con suor Lucia il 13 maggio 1991, 10 anni dopo l'attentato

Giovanni Paolo II con suor Lucia il 13 maggio 1991, 10 anni dopo l'attentato - Ansa

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«L'attentato a Giovanni Paolo II è avvenuto il 13 maggio di quarant' anni fa in piazza San Pietro. E, nel giorno della festa della Madonna di Fatima, quell'evento fu vissuto come un segno di Dio da suor Lucia dos Santos, l'ultima veggente delle apparizioni mariane avvenute in Portogallo nel 1917. La data del 13 maggio 1981 simboleggiò per suor Lucia l'inizio di un'amicizia mai interrotta con papa Wojtyla».

A cementare il loro rapporto fu non solo l'affidarsi alla Vergine di Fatima ma la comune devozione per la spiritualità carmelitana». A rivelare questi particolari è il carmelitano scalzo di origini trentine, classe 1970, Romano Gambalunga, già postulatore della causa di beatificazione di suor Maria Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato, al secolo Lucia dos Santos vissuta tra il 1907 e il 2005. «A colpire - racconta il religioso - è che suor Lucia sia spirata il 13 febbraio 2005, ossia solo pochi mesi prima di Giovanni Paolo II, morto nel maggio di quell'anno quasi volendo precedere il suo amico presso la “casa del Padre”».

È stato infatti padre Gambalunga a chiudere a nome anche del suo Ordine nel 2017 la fase diocesana del processo di beatificazione a Coimbra (la città dove scomparve suor Lucia a 97 anni) e a presentare ufficialmente tutto il dossier riguardante la serva di Dio alla Congregazione delle cause dei santi a Roma. «Dalle tante lettere e documentazioni inedite da me vagliate - è l'osservazione - si rimane edificati da come suor Lucia visse gli ultimi anni della sua esistenza pregando per le sofferenze del “suo” papa Giovanni Paolo II. Comprendeva come per Wojtyla fosse stato così importante alla luce anche dell'attentato conoscere l'ultima testimone vivente di quelle visioni mariane, essendo morti in tenera età gli altri due pastorelli, cioè i cuginetti di Lucia: Giacinta e Francesco».

Per spiegare l'intimo legame che intercorse tra Karol Wojtyla e la monaca claustrale portoghese, padre Gambalunga rievoca altri particolari. «Giovanni Paolo II volle recarsi in Portogallo nel 1982, l'anno successivo all'attentato per mano di Ali Agca, per manifestare il suo "grazie" per lo scampato pericolo alla Vergine di Fatima.

Nel marzo 1984, come segno di ulteriore ringraziamento, il Pontefice aveva voluto che il proiettile estratto dal suo corpo venisse incastonato nella corona della statua della Madonna di Fatima giunta appositamente a Roma. Lì avvenne l'atto di consacrazione da parte del Vescovo di Roma al Cuore immacolato di Maria.
Fu quello l'unico caso in cui suor Lucia disse pubblicamente che quel gesto tanto voluto dal Pontefice polacco era approvato e benedetto dalla Vergine in cielo».

Papa Wojtyla tornerà in Portogallo altre due volte: nel 1991 e poi il 13 maggio 2000 in occasione della beatificazione dei due pastorelli Giacinto e Marta. «Suor Lucia, allora 93enne, partecipò al rito di beatificazione dei due cuginetti - è la confidenza -. E avvertiva come conclusa la sua missione. Si sentiva “pronta a partire per il cielo”». In quel frangente l'allora segretario di Stato, il cardinale Angelo Sodano, annunciò che l'ultimo segreto di Fatima profetizzava la lotta dei sistemi atei contro la Chiesa, e, in particolare, l'attentato al Papa. Sarebbe stato lui «il vescovo vestito di bianco» caduto «a terra come morto, sotto i colpi di arma da fuoco» di cui parlò suor Lucia.

«Dalle testimonianze anche del nipote il salesiano don José dos Santos Valinho - racconta padre Gambalunga - emerge che la religiosa abbia dedicato gli ultimi giorni della sua vita per chiedere al Signore la guarigione di papa Wojtyla ricoverato al Gemelli». Un rapporto «fatto anche di un carteggio epistolare», quello della suora contemplativa con il Vescovo di Roma venuto da lontano che ha radici antiche. «Dalle testimonianze da me raccolte suor Lucia aveva voluto realizzare per papa Karol un agnellino credo in polistirolo "imbottito" di tanti Rosari da lei confezionati nella sua cella di Coimbra.Fu quello uno dei suoi tanti doni al suo Papa.

Giovanni Paolo II ricambiò questa attenzione inviandole nel Carmelo una piccola statua della Madonna proveniente dai suoi appartamenti in Vaticano e un Rosario. Suor Lucia nell'ultimo tratto della sua esistenza, non riuscendo più a parlare, ha tenuto in mano questa corona fino alla morte. Era per lei la “reliquia” del cuore del suo amico papa Karol».

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