sabato 6 marzo 2021
L'ex priore racconta la sua versione dei fatti dopo il comunicato della Santa Sede in cui si spiegava che papa Francesco ha ribadito la chiarezza dei contenuti del decreto del 13 maggio
Enzo Bianchi, ex priore di Bose

Enzo Bianchi, ex priore di Bose - Ansa

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Enzo Bianchi, ex priore di Bose, racconta la sua versione dei fatti dopo il comunicato della Santa Sede in cui si spiegava che papa Francesco ha ribadito la chiarezza dei contenuti espressi nel decreto dello scorso 13 maggio e ne ha chiesto l’esecuzione. E se il documento vaticano impone a Bianchi di «trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti», nella sua replica l’ex priore cerca di spiegare perché finora non ha potuto obbedire alle disposizioni della Santa Sede.

Definisce «calunnie» quelle espresse nel decreto che, ricordiamo, è firmato dal segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin e approvato in forma specifica dal Papa, quindi non appellabile. E sostiene di non aver avuto la possibilità di difendersi ma di aver «immediatamente iniziato la ricerca di un’abitazione adatta a me e alla persona che mi assiste, dove poter anche trasferire la vasta biblioteca necessaria al mio lavoro e l’ampio archivio personale».

Ma la ricerca si sarebbe rivelata infruttuosa, anche a motivo - si spiega sempre nel testo pubblicato sul blog di Bianchi - delle varie patologie di cui soffre l’ex priore. Anche l’ipotesi di trasferirsi a Cellole San Gimignano, diocesi di Volterra e provincia di Siena - sempre secondo questa ricostruzione - non sarebbe stata percorribile perché, secondo Bianchi «l’economo della comunità e il delegato pontificio hanno da subito posto alcune condizioni, tra le quali la perdita di tutti i diritti monastici per i fratelli e le sorelle che si sarebbero trasferiti a Cellole».

Una situazione a cui avrebbe posto rimedio lo stesso cardinale Parolin, accogliendo le osservazioni di Bianchi e permettendogli di trasferirsi nell’antica canonica toscana, «con alcuni fratelli e sorelle disponibili, da me scelti in intesa con il priore di Bose, i quali avrebbero vissuto come monaci extra domum ma conservando tutti i loro diritti monastici. Cellole non sarebbe stata più una fraternità di Bose, ma – riferisce ancora Bianchi – comunque una fraternità monastica in cui era possibile la presenza di un fratello presbitero per la celebrazione eucaristica».

Cosa avrebbe quindi impedito il trasferimento? Un contratto di comodato d’uso, si legge ancora nel testo pubblicato sul blog dell’ex priore, con condizioni diverse e quindi inaccettabili - sempre secondo Bianchi - rispetto all’accordo preso. Da Bose al momento nessuna replica. Ma si fa notare che la ricostruzione appare in palese contraddizione con quanto affermato venerdì dal comunicato della Santa Sede.

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