La celebrazione della Messa nella parrocchia di Tredozio nella diocesi di Faenza-Modigliana - Avvenire
Saranno i «gruppi sinodali» i protagonisti della prima fase del cammino sinodale della Chiesa italiana. Nasceranno in ogni diocesi e diventeranno come “antenne” sul territorio per captare le fatiche, le potenzialità, gli stimoli, le proposte delle parrocchie ma anche dell’intera società. E dovranno andare oltre il sagrato o il campanile: perché sono tenuti a «coinvolgere il più possibile anche persone che non sono e non si sentono “parte attiva” della comunità cristiana». Vuole essere un percorso “diffuso” e senza barriere il movimento nazionale di riforma ecclesiale sollecitato da papa Francesco che la Cei sta mettendo a punto. Un itinerario che avrà al centro un «trinomio», come viene chiamato negli “Orientamenti iniziali” frutto del Consiglio permanente straordinario dello scorso luglio: Vangelo, fraternità, mondo. Tre dimensioni che erano già indicate nella bozza consegnata a papa Francesco lo scorso febbraio dalla presidenza Cei e che hanno fatto da bussola per la “Carta di intenti” approvata nell’Assemblea generale dei vescovi italiani lo scorso maggio.
Proprio tre mesi fa il cammino sinodale è ufficialmente partito. A fare da filo conduttore il tema “Annunciare il Vangelo in un tempo di rigenerazione”. Settimana dopo settimana l’itinerario sta prendendo forma e si intreccerà con il Sinodo dei vescovi dedicato alla sinodalità. Un appuntamento, quest’ultimo, che sarà inaugurato a ottobre e che, secondo le novità introdotte dal Pontefice, si aprirà con la consultazione delle Chiese locali in tutto il mondo prevista fino all’aprile 2022. Ecco perché già da ora la Cei ipotizza che «il primo anno del Sinodo dei vescovi» sia «il primo momento del cammino sinodale italiano». Del resto nelle diocesi arriverà un questionario “vaticano” con una decina di domande e sotto-domande che serviranno per raccogliere gli input per il Sinodo dei vescovi. Un documento che potrà essere integrato con le istanze proprie della Chiesa italiana. Il compito di «armonizzare» i due percorsi è affidato dalla Cei a una Commissione di lavoro che si è riunita in estate e che presenterà un progetto per far sì che «con gli opportuni aggiustamenti» i due percorsi vadano di pari passi. Fra gli obiettivi anche quello di accogliere nel tracciato nazionale le ricchezze dei Sinodi diocesani che in molte Chiese locali del Paese si sono svolti o sono in corso.
Secondo gli “Orientamenti iniziali”, tre saranno le macro tappe del cammino italiano. La prima, già cominciata, durerà due anni ed è quella «dal basso». Avrà al centro le diocesi e le parrocchie, ma anche «gli appartenenti alla vita consacrata, le associazioni e i movimenti». Sarà un «biennio di ascolto di “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” attraverso la consultazione del popolo di Dio nella maggiore ampiezza e capillarità possibile». Sullo sfondo le «domande sollevate dalla pandemia», come già aveva stabilito il Consiglio permanente dello scorso gennaio. Interrogativi che sono entrati nella discussione di questi mesi sulle chiese “svuotate” dal Covid e sul “gregge smarrito”. Lo strumento principale sarà rappresentato dai «gruppi sinodali». E se la prossima Assemblea straordinaria dell’episcopato italiano, in programma a novembre, approverà l’iter complessivo, il Consiglio permanente di settembre nominerà il Comitato nazionale che seguirà il cammino. Nel 2022, in base al materiale raccolto nel primo anno, sarà messa a punto l’agenda dei temi su cui il “popolo delle diocesi e delle parrocchie” si confronterà. Ad ispirarla anche gli ultimi due Convegni ecclesiali: quello di Verona del 2006 e quello di Firenze del 2015 con il discorso programmatico di papa Francesco sullo stile sinodale da adottare nella Penisola. Alcune questioni sono già venute a galla: dall’Eucaristia domenicale all’accompagnamento delle famiglie, dai giovani ai poveri, dalla cura della casa comune al rapporto con le istituzioni e il mondo politico. Ma si impongono ulteriori nodi da sciogliere, come il ripensamento dei modelli e delle strutture pastorali oppure l’iniziazione cristiana.
La seconda tappa viene definita «sapienziale». E vedrà impegnati soprattutto i vescovi, gli operatori pastorali, le Conferenze episcopali regionali, ma anche le facoltà e gli istituti teologici, l’Università Cattolica e la Lumsa, le realtà culturali presenti nel Paese. Si tratterà di leggere e analizzare quanto scaturito nel biennio precedente e integrarlo con gli spunti usciti dal Sinodo dei vescovi.
La terza e ultima tappa ha come orizzonte il Giubileo del 2025 quando potrebbe tenersi una grande assemblea nazionale che sarà chiamata a presentare «alcune scelte coraggiose, profetiche, per un annuncio più snello, cioè libero, evangelico e umile, come chiesto ripetutamente da papa Francesco». Già Giovanni Paolo II aveva lanciato al Convegno di Palermo, nel 1995, la proposta di un passaggio dalla conservazione alla missione; e Benedetto XVI aveva tracciato le piste per una Chiesa che, pur essendo quasi dovunque minoranza, lo sia in modo creativo e propositivo, attraverso una presenza che sappia dialogare con tutti i “cercatori della verità” e che sia in grado di attrarre più che imporre. Come a dire che il cammino sinodale, pur cercando strade nuove, si snoda su sentieri ben tracciati. Lo aveva ricordato anche il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, nell’Introduzione all’ultima Assemblea generale quando aveva ripercorso l’itinerario cinquantennale degli Orientamenti della Chiesa italiana e dei suoi Convegni ecclesiali. «Una ricchezza che va recuperata: non partiamo da zero», nota la Cei. Una volta conclusa l’assemblea nazionale del 2025 che segnerà l’approdo del movimento nazionale, il testo finale giungerà nelle diocesi. E così prenderà il via l’attuazione del percorso sinodale nelle Chiese locali che saranno chiamate a recepire i frutti di cinque anni di cammino condiviso.