Il vescovo Luigi Bettazzi a Mostar nel corso di una manifestazione per la pace - Siciliani
A un anno dalla morte del vescovo emerito di Ivrea e a lungo presidente di Pax Christi, una biografia di Alberto Chiara ripercorre il suo itinerario umano e pastorale. Dal Patto delle Catacombe del 1965 ai tanti interventi pubblici Aveva un modo arguto e ironico di affrontare le cose, monsignor Luigi Bettazzi a partire da quelle che lo riguardavano direttamente. « Io, vescovo di sinistra? Io, vescovo rosso?», diceva di sé con un sorriso: «Sono nato mancino. Non derivo da questa anomalia fisiologica un’anomalia sociologica e politica, ma è possibile che questo mi abbia reso più attento alle situazioni di contrasto». A un anno dalla morte avvenuta il 16 luglio 2023, il livro Luigi Bettazzi, un vescovo alla sinistra di Dio di Alberto Chiara (Edizioni San Paolo, 192 pagine, 18 euro) è la biografia ragionata di un pastore che ha lasciato il segno nel Novecento italiano. C’è la famiglia: mamma Teresa, papà Raffaello, e poi sette figli, quattro maschi e tre femmine; Luigi era il terzo. C’è il cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, che lo volle suo ausiliare, aprendogli le porte del Vaticano II, la “Pentecoste” che lo segnò per sempre, ai cui lavori partecipò assiduamente dal 29 settembre 1963. Ci sono i poveri, a partire dal Patto delle Catacombe firmato il 16 novembre 1965 insieme ad altri padri conciliari, 42 in tutto, diventati poi nel tempo 500 vescovi. Ma c’è anche il Canavese dell’Olivetti, della Lancia di Chivasso e del Cotonificio Vallesusa: storie, vertenze, fallimenti che l’hanno promosso sul campo defensor civitatis. C’è, ovviamente, Pax Christi, prima la sezione italiana poi il movimento internazionale, il che significa, tra gli altri, l’arcivescovo Óscar Arnulfo Romero e il vescovo Tonino Bello. Ci sono le Marce della pace (le ha fatte tutte finché è vissuto, ben 55 a partire dalla prima, svoltasi il 31 dicembre 1968, un record). Ci sono i viaggi (otto solo quelli che Bettazzi fece in Vietnam, per tacere di quelli nella Baghdad del dopo Desert Storm, nel 1991, e nella Belgrado bombardata dalla Nato, nel 1999).
C’è la Marcia dei 500 a Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina, nel dicembre 1992, coraggioso esempio di interposizione non violenta, tribolato, sì, ma riuscito. Ci sono quegli atti di alta politica che furono le lettere aperte: oltre a quella indirizzata nel 1976 ad Enrico Berlinguer (tra tutte, la più famosa; il leader comunista rispose l’anno dopo, nel 1977), nel libro si parla anche di quelle scritte a Benigno Zaccagnini, Bettino Craxi, Carlo De Benedetti, Sandro Pertini, Giovanni Spadolini. C’è, inoltre, il tentativo, fallito, di offrirsi ostaggio alle Brigate rosse in cambio di Moro, con altri due vescovi: Alberto Ablondi e Clemente Riva. Ma ci sono pure frammenti apparentemente minori che spiegano il Bettazzi uomo, cristiano, profeta. Le ore trascorse a meditare la Scrittura e a pregare in silenzio, ad esempio. Le Messe celebrate ogni giorno, sempre, non importa se all’estero, in condizioni difficili. L’attenzione non episodica per la gente comune, a cominciare dai suoi sacerdoti. La capacità di ascolto, anche di chi lo osteggiava apertamente. La scelta di fare del confronto costante e sincero l’abito quotidiano, cucito su misura per le sue decisioni, dentro e fuori la Chiesa. Arricchito da stralci di suoi libri, interviste, omelie e dal ricordo di Enzo Bianchi, del cardinale Arrigo Miglio, dell’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, l’attuale presidente di Pax Christi Italia (che firma la postfazione) e di tanti altri che l’hanno conosciuto e che hanno lavorato con lui, il libro di Alberto Chiara (giornalista di Famiglia Cristiana tra il 1982 e il 2024) documenta come Luigi Bettazzi sia stato riferimento per molti cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici che intendevano (e intendono) vivere la fede aggrappati al Vangelo e ai documenti conciliari. Certe analisi risultano tanto lapidarie quanto attuali. A chi gli chiedeva quale fosse il più bel documento del Vaticano II Bettazzi rispondeva: «Forse è la Costituzione Dei Verbum, che ha rimesso la Parola di Dio nelle mani e nel cuore di tutti i battezzati».
Quello più attuato? «Probabilmente la Costituzione Sacrosanctum Concilium, che ripropone la liturgia come preghiera di tutto il popolo di Dio. Anche se oltre l’uso delle lingue volgari, non si è fatto molto per superare il clericalismo, la prevalenza cioè del clero (e non solo nella liturgia); e oggi c’è una spinta per il ritorno all’antico con il pretesto che è più mistico». Il più importante, se possibile? « Antipatico dover scegliere – rispondeva Bettazzi – ma direi la Costituzione Gaudium et spes, che cambia prospettiva. Non più Chiesa giudice severa e cittadella assediata, ma aperta a leggere i segni dei tempi, compagna di strada dell’uomo. Magari fossimo capaci di attualizzarne fino in fondo lettera e spirito». Per Bettazzi rimaneva e rimane ancora molto da fare. «La rivoluzione copernicana contenuta nella Gaudium et spes (non l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità) e quella della Lumen gentium (non i fedeli per la gerarchia, ma la gerarchia per i fedeli) stentano ad affermarsi» si legge nel volume della San Paolo. Ci sarà un Concilio Vaticano III? «No. Credo semmai che vada attuato pienamente il Vaticano II. Non vorrei che un Vaticano III finisse con l’essere programmato per chiudere le aperture fin qui fatte». Il libro sarà presentato venerdì a Torino, all’auditorium di Palazzo San Daniele in via Del Carmine 14, alle 17.30. Un appuntamento organizzato dalla Fondazione Carlo Donat-Cattin in collaborazione con Edizioni San Paolo a cui interverranno, insieme all’autore del libro, Mariapia Donat-Cattin presidente della Fondazione Carlo Donat-Cattin, il cardinale Arrigo Miglio, arcivescovo emerito di Cagliari, Marta Margotti dell’Università degli Studi di Torino, don Renato Sacco di Pax Christi e Sergio Bocchini biografo di Bettazzi. Modera Luca Rolandi.