Sono molti i Paesi dove essere cristiani è molto difficile. Un attentato tra tanti contro una comunità cristiana - Archivio Ansa/Epa
Ha ragione il patriarca copto cattolico di Alessandria d’Egitto, Ibrahim Isaac Sidrak, quando dice che «è difficile essere cristiani ovunque nel mondo». Per di più se si è cattolici. E il Mediterraneo non fa eccezioni. Fra persecuzioni, discriminazioni, esodi “imposti”, leggi anti-evangeliche, il bacino da cui il messaggio del Risorto si è irradiato nel globo è oggi terra di prove che possono arrivare fino alla morte.
Come testimonia il “martirio” dei venti copti e di un ghanese decapitati dagli estremisti nel 2017 in Libia. La vita (spesso drammatica) dei cattolici intorno al grande mare entra con la sua forza profetica nell’agenda dell’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” che porta a Bari i vescovi di venti Stati dell’area e di tre continenti: Europa, Asia e Africa. Fra i Paesi mediterranei più a rischio per i cristiani c’è proprio la Libia, secondo l’ultimo rapporto sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che soffre.
Al pari di Siria e Iraq dove alle tensioni permanenti e alle persecuzioni si aggiunge il dramma della fuga che svuota comunità di antica tradizione. Partenze che riducono ai minimi termini la presenza cristiana anche in Terra Santa o in Bosnia ed Erzegovina.
Segnali di distensione giungono dal Nord Africa quasi interamente musulmano, ma non dalla Turchia che si avvia verso un’involuzione autoritaria. E in Europa? Numerose scelte legislative di stampo laicista scalfiscono le radici cristiane del continente e si aggiungono ad atti ingiuriosi sempre più frequenti.
I Paesi da bollino rosso
Libia. È ormai un Paese fuori controllo la Libia segnata da una guerra civile scoppiata nel 2011. La Chiesa non ha mai abbandonato il territorio ma ogni attività pastorale è limitata per i bassi livelli di sicurezza. «Comunque la comunità cattolica non scomparirà», assicura il vescovo George Bugeja, vicario apostolico di Tripoli. Ondate di omicidi hanno colpito le minoranze religiose, in particolare i cristiani. Gli stupri sono un’arma contro le donne, anche cristiane. Non ci sono cattolici libici, solo stranieri che in molti casi stanno lasciando l’ex colonia italiana dove il credo nazionale è l’islam. Appena due le chiese aperte in tutto lo Stato. E nei campi di detenzione dei migranti finiscono anche i profughi cristiani che giungono dall’Africa subsahariana.
Siria. Altrettanto difficile la vita di fede in Siria. La guerra civile influenzata dall’azione del Daesh si è portata dietro una crisi umanitaria con milioni di sfollati. Prima del conflitto i cristiani rappresentavano il 10% della popolazione: adesso non raggiungono il 3% su 18,5 milioni di abitanti. Quartieri rasi al suolo, violenze, rappresaglie, requisizioni di abitazioni sono all’ordine del giorno per chi ha il Vangelo sottobraccio. E anche sequestri, come quello del gesuita padre Paolo Dall’Olio di cui si sono perse le tracce dal 2013.
Iraq. È in preda al caos l’Iraq Lo dimostra anche il fatto che il cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca di Babilonia dei caldei, abbia rischiato di disertare l’Incontro di Bari per non allontanarsi dalla sua gente: ma alla fine ci sarà. Nonostante la perdita di terreno da parte del Daesh, l’impatto del genocidio jihadista mostra tutta la sua drammaticità. Erano 1,2 milioni i cristiani prima del 2003: adesso sono 300mila su 37 milioni di cittadini, al 95% musulmani. «Si lascia il Paese a causa delle guerre, delle discriminazioni, delle difficoltà socio-economiche. E tutto ciò non è disgiunto dalla presenza dell’islam», racconta Sako ad Avvenire. E lancia l’allarme: «Così rischiano di essere cancellati duemila anni di storia e di presenza cristiana. Siamo una minoranza piegata dalle sofferenze, siamo vittime di persecuzioni, abbiamo vissuto il martirio».
Allarme in Terra Santa
Fa i conti con un preoccupante esodo di cristiani la Terra Santa. In Israele restano in 130 mila; a Gerusalemme 8mila; in Palestina 45mila. I cattolici sono meno della metà. «Non possono essere negate le difficoltà connesse alle crisi politiche ed economiche», spiega l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme. Il latente conflitto israelo-palestinese unito ai continui attriti in Medio Oriente spinge a emigrare. Più volte la Chiesa locale ha criticato le limitazioni degli ingressi dei fedeli palestinesi nello Stato ebraico specialmente durante le solennità religiose. E a Gaza i cristiani si confrontano con le infiltrazioni dei fondamentalisti.
Il Nord Africa
È religione di Stato l’islam nei Paesi del Nord Africa. Ad eccezione della Libia, i regimi politici si sono stabilizzati. In Egitto, dopo il periodo buio dei Fratelli Musulmani, il presidente al-Sisi ha instaurato un clima di riconciliazione con la minoranza cristiana. Ma sono stati anche anni marcati dal terrorismo con attentati alle chiese e assalti (anche ai bus di pellegrini). I cattolici sono 300mila su 97 milioni. «Gli islamisti – afferma il patriarca Sidrak – vogliono minare il Paese, partendo dai più deboli. Se viene attaccata una chiesa, l’evento ha un’eco mondiale. Viviamo nella paura ma andiamo avanti». Nel Maghreb i musulmani sono il 99% della popolazione. E le Chiese locali sono formate per lo più da stranieri occidentali o da migranti del Sud del Sahara.
L’Algeria ha salutato un anno fa la beatificazione dei 19 martiri del “decennio nero” del terrorismo islamico: fra loro i sette monaci trappisti di Tibhirine e il vescovo Pierre Claverie. Di recente sono state chiuse dalle autorità alcune chiese evangeliche. E il proselitismo è vietato. «Ma non siamo più in un contesto di scontro religioso, bensì di incontro fra credenti. A cominciare dai nostri fratelli musulmani», sottolinea l’arcivescovo di Algeri, Paul Desfarges. Fra i profughi una parte è cristiana: ma finiscono in carcere o nei campi d’accoglienza dove si viene bloccati per evitare le partenze verso l’Europa.
In Marocco re Mohammed VI è impegnato nella lotta al jihadismo e l’islam nazionale è «moderato, aperto, sereno», chiarisce l’arcivescovo di Rabat e neo-cardinale, Cristóbal López Romero, che legge la sua porpora come un «incoraggiamento al lavoro della Chiesa nel dialogo islamo-cristiano».
Progressi si registrano in Tunisia dove la comunità ecclesiale annovera molti migranti subsahariani. Dopo gli attacchi terroristici, il governo ha deciso di rafforzare la tutela delle minoranze, inclusa quella cristiana.
Verso Oriente
Turchia. Chiedono più libertà i cristiani in Turchia. «Il Paese non ha mai avuto un’impostazione socio-politica “laica”. Il principio è scritto nella Costituzione, ma non si è concretizzato nemmeno ai tempi di Atatürk», afferma Paolo Bizzeti, vicario apostolico di Anatolia, che siede sulla cattedra del vescovo Luigi Padovese assassinato nel 2010 dal suo autista al grido di Allahu Akbar («Allah è grande»). Sono le stesse parole che hanno accompagnato la morte del fidei donum don Andrea Santoro, ucciso nel 2006. Oggi la comunità ecclesiale è una “Chiesa di stranieri” che include anche i rifugiati cristiani piegati da drammatiche condizioni di vita nei campi profughi di uno Stato che ha accolto tre milioni di migranti dalle guerre. Di recente nel Sud del Paese le fermate dei bus sono state tappezzate di manifesti che mostrano una croce e una stella di David insanguinate. Poi le parole: “Non fate amicizia con ebrei e cristiani”.
Libano. Nel vicino Libano l’approdo dalla Siria di due milioni di rifugiati in massima parte musulmani – compresi estremisti sunnuti – sta alterando il precario equilibrio del Paese “più cristiano” del Medio Oriente (un terzo dei cittadini). Inoltre crea apprensione il “partito di Dio” Hezbollah.
In Europa
Anche nei Balcani è allarme: i cattolici sono in fuga. Soprattutto dalla Bosnia ed Erzegovina. Cattolici significa per lo più croati, uno dei “popoli” che compongono la Bosnia ed Erzegovina dove la metà degli abitanti è bosniaca, quindi musulmana, e oltre un terzo serba, cioè ortodossa. Erano 800mila i cattolici prima della guerra del 1992-96; oggi non superano i 450mila. «Non c’è uguaglianza di fronte alla legge – denuncia l’arcivescovo di Sarajevo, il cardinale Vinko Puljic –. Domina la “nazione” bosniaco-musulmana. E noi sperimentiamo diverse forme di discriminazione. Tutto ciò accade di fronte agli occhi dei grandi del mondo che sono indifferenti e, anzi, quasi si compiacciono per l’esodo dei cristiani».
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