martedì 17 settembre 2019
Nel documento che ha concluso l’incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio il no ai muri di ogni tipo e all’indifferenza che lascia indietro i più deboli. La denuncia: si consuma l’unico pianeta
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Una firma e poi una fiammella che si accende. Si illuminano i due grandi candelabri che dominano sul palco di fronte all’ingresso della Cattedrale dell’Almudena. E fanno tornare alla mente Assisi e quell’incontro profetico voluto da Giovanni Paolo II che nel 1986 aveva radunato i leader spirituali per la “Giornata di preghiera per la pace”. Qui siamo a Madrid. E per tre giorni soffia nella capitale spagnola lo “spirito di Assisi”. Che la Comunità di Sant’Egidio tiene vivo nell’annuale incontro internazionale nato sulla scia dell’evento wojtyliano. Questo è l’appuntamento numero 33 concluso martedì in tarda serata lanciando un Appello ai potenti della terra e agli uomini di buona volontà per «cercare nuove vie di pace a 80 anni dall’inizio della seconda guerra mondiale».

Il testo, una pagina dattiloscritta che sinterizza gli spunti emersi da ventisette tavole rotonde, viene sottoscritto dai capi religiosi giunti da tutto il mondo che poi si passano idealmente di mano in mano la “luce dell’amicizia” che risplende nella piazza incastonata fra la Cattedrale e il Palazzo reale.

I bambini hanno appena mostrato dal palco l’Appello sventolando i loro foulard e lo consegnano al pubblico che arriva fino alla cancellata della storica residenza dei re spagnoli. «Non nascondiamoci dietro il muro dell’indifferenza» che lascia indietro «i più deboli, quanti sono colpiti dalla violenza e dal disprezzo sociale», si legge nel documento. Nel testo che viene proclamato in spagnolo ma è tradotto in più lingue, si chiedono agli Stati «più ricchi» le risorse «per evitare che milioni di bambini muoiano senza cure» e per «mandarli a scuola». Quindi si esprime la preoccupazione «perché vediamo consumarsi l’unico pianeta di tutti come se fosse solo di alcuni» e perché «vediamo riaffacciarsi il culto della forza e le contraddizioni nazionalistiche». Viene ribadito che «chiunque usa il nome di Dio per giustificare la guerra, la violenza e il terrorismo profana il nome di Dio». E guai a quei credenti che si lasciano «utilizzare da chi sacralizza confini e conflitti». Così si richiama il tema di questa edizione, “Pace senza confini” che, chiarisce l’Appello conclusivo, davvero «è possibile».

Poi l’impegno alla preghiera, come voleva Giovanni Paolo II, per avere «il dono degli occhi di Dio che liberano dalla cecità e fanno riconoscere l’altro come fratello». E la preghiera precede la cerimonia finale: i cristiani delle diverse confessioni riuniti insieme nella Cattedrale; gli ebrei nella casa Sefarad-Israel; i musulmani vicino alla chiesa castrense; i buddisti in un salone. Poche centinaia di metri separano gli uni dagli altri. Ma non ci sono steccati. «I luoghi sono diversi perché diverse sono le religioni. La confusione e il sincretismo non sono nel giusto sentire dei credenti», spiega nel suo intervento il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, che annuncia anche la sede dell’incontro 2020: Roma. Intanto a Madrid «abbiamo vissuto la bellezza di un mondo senza frontiere. La fierezza delle nostre diversità non contrasta con la bellezza dell’unità nella pace», aggiunge Impagliazzo. Il suo sguardo si alza verso l’alto. «Il cielo è uno solo. Il Dio del cielo e della terra, della pace e della misericordia è per tutti». E chiarisce che «siamo qui» per ascoltare il «grido dell’uomo e della donna che soffrono, oppressi da malattie, povertà, guerre, catastrofi naturali». E se il presidente della Comunità parla di un «ambiente che oggi mostra segni di grande sofferenza» ed esprime «solidarietà ai popoli dell’Amazzonia» al centro anche dell’imminente Sinodo in Vaticano, l’Appello che parte dalla Spagna denuncia lo sperpero «in maniera incosciente di aria, acqua, terra». Impagliazzo definisce la pace «una forza più potente e convincente della violenza, della prepotenza del denaro e degli interessi di parte». E, ricordando i 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, ribadisce il forte «no ai muri di ogni tipo».

I capi religiosi sono al suo fianco. Hanno attraversato la piazza con un corteo “del dialogo” dopo l’ora di preghiera. E sulle note dell’Hallelujah tratto dal Messiah di Händel si scambiano il segno della pace che diventa abbraccio in molti casi. «Come sta bene il cuore quando ci dedichiamo a costruire ponti e scommettiamo sulla cultura dell’incontro», afferma l’arcivescovo di Madrid, il cardinale Carlos Osoro Sierra, che ha voluto nella sua Chiesa l’iniziativa di Sant’Egidio. E cita la domanda di Dio a Caino che aveva appena ucciso Abele: «Dov’è tuo fratello?». «La globalizzazione dell’indifferenza che ci chiude in noi stessi fa sì che la risposta sia sempre la stessa: “Non lo so”. Tuttavia l’umanità porta inscritta in sé la vocazione alla fraternità». Ecco allora la consegna che Osoro Sierra lascia: «Usciamo da qui con l’impegno a essere “seminatori di pace”». Ovunque. A cominciare da chiese, sinagoghe, moschee, centri spirituali. Perché tocca agli uomini di fede imboccare vie di «dialogo, perdono, riconciliazione», dice il cardinale. Oltre ogni confine.

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