Fom
Nel mio lavoro mi capita spesso di incontrare, soprattutto in estate, numerosi adolescenti che partecipano ai corsi residenziali per animatori dell’oratorio estivo. Provengono da ogni zona della diocesi di Milano che, essendo un territorio vasto, racchiude molteplici storie, tradizioni e possibilità per vivere l’oratorio. In un turno di questo corso residenziale (conosciuto dai ragazzi come “La Montanina”, e da quelli più adulti come “Capizzone”) un’adolescente mi ha confidato che seguiva me e altri educatori su Instagram e che si era appassionata ancora di più all’oratorio attraverso i nostri post e storie che raccontavano di quell'esperienza. Questo fatto, accaduto qualche anno fa, quando ancora la pandemia era ben presente, mi ha aperto gli occhi sulla potenzialità che i social network potevano avere nella vita delle persone, nello specifico per l’oratorio. Quando si parla di social spesso ci si focalizza sulle minacce, ma fermarsi sui rischi non dà uno sguardo complessivo e coerente su questi luoghi (digitali) che gli adolescenti vivono.
La missione della Chiesa (e, nel nostro caso, degli oratori) è stata sempre interconnessa alla comunicazione. L’obiettivo finale, quello di testimoniare il Vangelo, è sempre passato attraverso modalità comunicative collegate ai linguaggi dei tempi nei quali si operava. L’epoca che stiamo vivendo è contrassegnata da un forte stampo comunicativo, soprattutto per gli adolescenti e preadolescenti: questo ci deve interrogare sulle modalità comunicative che proponiamo, soprattutto rispetto ai social.
L’oratorio ha tanto da raccontare. Le esperienze hanno bisogno di essere narrate dagli stessi ragazzi e ragazze che le vivono, per far sì che il racconto possa essere sia lo strumento per far conoscere ciò che si vive, sia l’occasione per riflettere su ciò che si è vissuto con le parole, le immagini, i linguaggi più coerenti. Non si tratta però solo di raccontare degli adolescenti e con gli adolescenti: in un contributo presentato alla Cei, il professor Rivoltella ha introdotto il concetto di pastorale 3.0, in cui si auspica un uso controintuitivo dei social network. Quello che normalmente si pensa, infatti, è che queste tecnologie portino le persone ad isolarsi. L’idea è quella di trasformarle in tecnologie di comunità per (ri)creare legami tra le persone all’interno della comunità cristiana, che, attraverso le tecnologie, si allarga, superando i confini territoriali e generazionali. I social network possono diventare l’occasione per creare un nuovo modo di fare oratorio, possono divenire un nuovo cortile nel quale condividere racconti, esperienze, punti di vista, spunti, testimonianze; affinché le loro storie possano diventare le storie di chi le legge, soprattutto di chi queste esperienze non può o non vuole viverle.
Responsabile Area adolescenti e preadolescenti
Fom-Fondazione Oratori Milanesi