Le due foto di Josefa, salvata dopo 48 ore in acqua (a sinistra) e al momento dello sbarco (a destra) con le unghie laccate dai volontari della Open Arms
Bastava guardarle gli occhi – pieni di terrore dopo 48 ore trascorse in mare, aggrappata a un relitto – e invece le hanno osservato le unghie. Che (nelle ore successive!) qualcuno le aveva dipinto di smalto rosso forse per darle conforto e sicurezza, per dirle che era ancora una persona viva.
Così Josefa ha dovuto sopportare anche questo. La donna camerunese, salvata il 17 giugno da Open Arms dopo che una motovedetta di Tripoli l’aveva abbandonata in mare perché lei non voleva tornare nelle mani dei libici, ha subìto l’oltraggio vergognoso dell’odio web: «È una naufraga ma con smalto», ha notato per prima una donna, commentando una delle foto postate dalla ong spagnola per illustrare la vicenda che ha commosso il mondo (insieme a Josefa erano stati recuperati i corpi di un’altra africana e di un bambino): «Scappa dalla guerra ma si è pitturata le unghie. Inoltre le mani non hanno l’aspetto spugnoso tipico di chi resta in acqua per ore. Scusate, ma io non ci credo al 100%».
Tanto è bastato per dare il via all’anonima catena degli haters, le cui unghie – quelle sì indurite da uno smalto crudele – sono affondate senza pietà nelle carni di una persona già provatissima dalla vita: «È un’attrice», «Non c’è stato alcun naufragio», «Si è rifatta le unghie tra un naufragio e l’altro», «Funziona come Cocoon, dopo 48 ore in acqua sei più bella»... Cinismo disumano, prima ancora che razzismo.
A smontare la fake news per fortuna è arrivata sempre via social Annalisa Camilli, giornalista dell’Internazionale imbarcata sulla nave dell’ong: «Josefa ha le unghie laccate perché nei quattro giorni di navigazione per raggiungere la Spagna le volontarie di Open Arms le hanno messo lo smalto per distrarla e farla parlare. Non aveva smalto quando è stata soccorsa, serve dirlo?»; e a corredo viene ripubblicata la foto del salvataggio della donna, quella in cui appunto spiccano i suoi occhi terrorizzati e perduti.
Ma nemmeno tale elementare verità basta a placare l’odio in rete, che anziché scusarsi si rivolge allora contro chi «si diletta con lo smalto»: patologia che non merita considerazione. Nel frattempo la nave della ong spagnola aveva sbarcato Josefa a Maiorca e domenica pomeriggio è ripartita per un’altra missione – la sua quarantottesima – nella zona Sar al largo delle coste libiche, accompagnata dal tweet minaccioso del nostro ministro dell’Interno: «La nave sta dirigendo verso il canale di Sicilia. Altre provocazioni in vista?».
Peraltro la Proactiva Open Arms ha precisato in un comunicato di non aver sporto «nessuna denuncia nei confronti del governo italiano né della sua Guardia costiera», ma di aver agito legalmente solo «contro il capitano del mercantile libico Triades per omissione di soccorso e omicidio colposo» e contro la Marina libica. La quale da parte sua smentisce «categoricamente le calunnie», sostenendo che «è illogico che una pattuglia salvi 165 migranti lasciando andare alla deriva due donne e un bambino», e chiede una «commissione neutrale per indagare su questo incidente».