Nella cappella della Comunità Villa San Francesco l’affresco che ritrae i bambini ospiti 25 anni fa e oggi padri di famiglia: in primo piano i loro figli davanti al dipinto, accanto al Gesù della Pace - Comunità Villa San Francesco
“Da oltre cinquant’anni voi mi stupite con le vostre invenzioni, una più luminosa dell’altra”, esclamava il cardinale Loris Capovilla nel 2016 – a cent’anni compiuti – rivolgendosi ai “ragazzi difficili” di Villa San Francesco a Facen (Belluno), capitanati fin dal lontano 1974 dal loro direttore educatore Aldo Bertelle. Un riassunto perfetto di quello che è la Comunità dalla sua nascita, avvenuta 75 anni fa dal cuore e dalla mente del Cif (Centro italiano femminile) di Venezia: una fucina di idee, il luogo più stralunato e geniale possibile. Con gergo da assistenti sociali potremmo dire che l’antica villa veneta a metà collina, che anche il navigatore fatica ad inquadrare, ospita “minori disagiati” e “adulti con disabilità mentali”, (ne sono passati quattromila, accolti, rimessi in carreggiata e restituiti alla vita), ma in realtà succede molto di più…
Chi nella vigilia di questo Natale fosse passato di qui avrebbe visto Bertelle e i suoi ragazzi camminare nel freddo con un Bambino in braccio, diretti verso il carcere di Belluno… Per tutta la notte un asino vero, l’asino Beppe della Comunità, aveva scaldato il Bambino in legno, scolpito nell’ulivo dagli abitanti di Nevè Shalom (nome ebraico), Wahat al-Salam (in arabo), l’Oasi di pace in Terra Santa dove convivono ebrei, musulmani e cristiani. Per tutto dicembre quel Bambino ha portato in pellegrinaggio il suo grido di pace, dalla Basilica di San Marco a Venezia, benedetto dal patriarca Francesco Moraglia, fino all’ultima tappa, dove il vescovo Renato Marangoni lo ha preso in braccio e condotto ai detenuti, per affidarlo infine alla folla nella concattedrale di Feltre.
Il vescovo di Belluno-Feltre Marangoni riceve il Gesù dai ragazzi della Comunità e lo conduce nel carcere - Comunità Villa San Francesco
Cos'altro potevano inventarsi in questo Natale di guerra i ragazzi di Villa San Francesco per rispondere all’appello del papa e rendere visibile la pace? “Le parole sono solo un suono, ma l’esempio è un tuono: occorre rimettere al centro l’esempio”, afferma Bertelle, spiegando così il senso della mostra A piedi in prestito verso la Notte Santa che hanno allestito raccogliendo scarpe. Illustri o sconosciute, ma “scarpe già consumate di bene”, indossate da persone che hanno camminato nel mondo con storie di coraggio, fatica, sogno, dolore, libertà. Ci sono gli scarponi di un fante inviato a morire nella Grande Guerra, ma anche le scarpe di Maria Pollacci, ostetrica 99enne che di casa in casa ha fatto nascere 8.004 bambini; le infradito di un profugo del Mali, giunto scalzo a Lampedusa, oggi ospite della Comunità, e le pantofole di Giovanni Paolo I; i mocassini della prima donna ministro, Tina Anselmi, e le calzature dell’Abbé Pierre, o i sandali usati per 30 anni dal missionario don Luis Canal nelle piantagioni di canna da zucchero tra i lavoratori schiavi, o ancora gli zoccoli in legno di padre Ramin, comboniano eliminato in Brasile dai latifondisti perché dalla parte dei poveri, e poi le scarpe del poeta Andrea Zanzotto, e di san Luigi Orione… I sandali di san Massimiliano Kolbe, morto ad Auschwitz nel 1941 al posto di un padre di famiglia, “pesano” in tutti i sensi: scolpiti nel ferro dal famoso artista Gibo, proprio ieri sono stati donati alla Comunità, già ricca di centinaia di opere d’arte di pittori e scultori.
I sandali di san Kolbe scolpiti nel ferro dall'artista Gibo - Comunità Villa San Francesco
Un modulo all’uscita della mostra chiede di indicare quali scarpe si è scelto di calzare per il 2024: “I visitatori sono invitati a indossare idealmente il paio che trovano significativo per la loro vita, cioè a impegnarsi personalmente a riprendere per mano queste storie di pace”, dice Bertelle. Perché qui (siete avvisati) nessuno è spettatore, volenti o nolenti ci si trova coinvolti, provocati, stimolati, anche messi in difficoltà. Irrimediabilmente affascinati. Lo ha provato sulla propria pelle il patriarca Roncalli, futuro san Giovanni XXIII, venuto in visita più volte alla Comunità, come Albino Luciani, oggi beato Giovanni Paolo I. Ci sono cascati artisti, politici, attori, sportivi, scrittori, via via passati di qui e mai più ripartiti del tutto. Le cronache dei giornali provano da decenni a spiegare la potenza del messaggio, ma poi gettano la spugna: “Andateci e capirete”. È toccato anche a Maria Fida Moro, inviata per La Discussione, descrivere “quella magnifica sera in una vecchia casa che si chiama Villa San Francesco, con annessa cappellina”, dove tra polenta e caloriferi spenti per fare economia “ci sentivamo pieni di calore”. Era il 30 dicembre dell’84 e pure lei gettava la spugna: “Tutti coloro che hanno bisogno di riconciliarsi con la vita facciano un salto a Facen. Troveranno la gioia”. Poi è stata la volta di Giovanni Bachelet, di Enzo Biagi, di Gigi Agnolin, arbitro internazionale: trasecolarono i commentatori sportivi quando nel 2006 annunciò l’addio al grande calcio per “guidare i giovani calciatori della Stella Azzurra, la squadra della Comunità di Villa San Francesco, abituati dal loro direttore ad una cosa che altrove sembra un’utopia: saper perdere, ma far giocare tutti”.
Bimbi della Comunità depomngomno il Bambino di Nevè Shalom - Comunità Villa San Francesco
È il metodo Bertelle. Non rieduca né mette in riga i suoi "ragazzi difficili", ma a ciascuno propone la bellezza e lo sprona al bene che saprà dare, perché difficili non sono le persone ma, a volte, la vita. Così accanto alla “vera” scuola, dove imparano le materie e prendono i diplomi, qui i ragazzi lavorano nei laboratori d’arte, nella vetreria artigianale, con il tornio e la ceramica, nelle serre, in falegnameria... E scrivono a capi di Stato e ambasciatori per coinvolgerli in progetti visionari.
Nel 2016, di fronte alla mangiatoia del Natale costruita con 208 legni provenienti da altrettanti luoghi in cui la Storia mondiale ha lasciato il suo segno, ha sostato in silenzio papa Francesco (sono legni arrivati nelle tasche di viandanti e nella borsa di viaggiatori, spediti da missionari e governanti, donati da vescovi e diplomatici. C’è il grande leccio di Fatima sotto il quale i tre pastorelli videro la Vergine, assieme al ramo raccolto da dita monche nel lebbrosario vietnamita di Djiring. C’è l’ulivo estirpato in Palestina per far posto al muro di divisione con Israele, e il giogo appartenuto alla mucca Sum in Mali: l’unica proprietà del minore non accompagnato Idrissa. C’è il legno di una lettiga per i feriti della Grande Guerra, ma c’è anche il ramo dell’ulivo piantato nei Giardini Vaticani da papa Francesco con Abu Mazen e Shimon Peres, nel segno della riconciliazione). Legni ignoti o famosi, “profumati dalle storie di chi si è speso per il bene comune, cercandolo e trovandolo anche nel male”, riassume il direttore educatore.
L'ingresso di Villa San Francesco - screnshot Youtube
Nel cuore della Comunità c’è anche una grande sfera di vetro che raccoglie, irreversibilmente mischiati, i pugni di terra arrivati da tutte le nazioni esistenti, con tanto di autenticità attestata dai capi di Stato: “Così abbiamo qui tutta la Terra, da accarezzare ogni mattina all’inizio di un nuovo giorno”, spiegano i ragazzi. Che ci hanno messo nove anni a riempirla, vincendo diffidenze e ritrosie, fin quando è arrivato il 199esimo pugnetto da Tuvalu, isola-Stato di 12mila abitanti in Oceania, l'ultimo ad entrare nella sfera. In direzione inversa hanno poi restituito ai 199 Paesi un piccolo mattone cotto da loro con quella stessa terra, così che ognuno si senta custode dell’intero pianeta…
E via così, con il sale giunto da 130 luoghi simbolici dei cinque continenti e utilizzato per impastare un pane speciale, secondo il Vangelo (“Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo”). E con un Museo dei Sogni della Coscienza e delle Pietre che negli anni ha raccolto i sassi testimoni della Storia, dalla tegola di Hiroshima (solo due sono state donate all’umanità, l’altra è al Palazzo dell’Onu) al Muro di Berlino, dal mattone dilaniato dal tritolo nella Stazione di Bologna al frammento della casa di don Milani a Barbiana, dall’asfalto deflagrato in via D’Amelio nell’assassinio del giudice Borsellino alla creta raccolta sul Monte Nebo, dove Mosè vide la Terra Promessa… “Sono schegge di pace, pietre parlanti”, dicono fieri a Villa San Francesco.
“La via per la pace passa per l’educazione, che è il principale investimento per il futuro”, ha ricordato lunedì 8 gennaio il papa, rivolto proprio a un uditorio di ambasciatori da tutto il mondo. In questa antica villa diventata fucina di idee è consuetudine toccata con mano.