sabato 12 ottobre 2024
Uno studio Cdi-Università di Napoli rivela che il taurisolo, miscela estratta dalle vinacce dei famosi vitigni lucani e campani, contribuisce significativamente all'integrità dei vasi sanguigni
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E adesso chi avrà il coraggio di confutare i benefici di un buon bicchiere di vino consumato durante un pasto? Addirittura, l’impresa di metterne in discussione le qualità protettive per il nostro organismo risulterebbe perdente se muovessimo i nostri rilievi contro un buon rosso Aglianico, da millenni domiciliato soprattutto nell’area del Vulture-Melfese, in Basilicata, e nelle province di Avellino e Benevento. Nessuno sdoganamento dell’alcol, per carità, che resta responsabile di una morte ogni 10 secondi nel mondo. Tuttavia, uno studio fresco di pubblicazione sulla prestigiosa rivista The Journal of Cardiovascular Development and Disease, condotto dal Centro Diagnostico Italiano (Cdi) di Milano in collaborazione con l’Università degli studi “Federico II” di Napoli, svela che il taurisolo, una miscela di polifenoli estratta dalle vinacce dell’uva di Aglianico, «migliora la qualità della vita dei pazienti diabetici affetti da arteriopatia periferica», una dolorosa malattia delle arterie che riduce l’afflusso di sangue agli arti e impedisce anche la normale deambulazione.

Alcune sostanze contenute nel vino erano già note per le proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Ricerche in vitro e sul modello animale, spiegano dal Cdi, hanno evidenziato la capacità del taurisolo di controllare vari fenomeni dovuti all’ipossia, cioè una carenza di ossigeno a livello dei tessuti dell’organismo, e allo stato ossidativo, riducendo la cosiddetta “Tmao”, una molecola infiammatoria derivante dalla metaboilizzazione degli alimenti e che rappresentano, avvertono i ricercatori, «una minaccia per l’endotelio, il tessuto che costituisce i vasi sanguigni, data la sua capacità ossidante, in grado quindi di alterarne la struttura producendo danni funzionali anche irreversibili. La Tmao si associa inoltre a un rischio aumentato di sviluppare aterosclerosi e altre malattie dei vasi, compresa la stessa arteriopatia periferica».

Ora: nella nuova indagine condotta sull’asse Milano-Napoli, i ricercatori hanno somministrato il taurisolo per sei mesi a 26 pazienti diabetici come supplemento al trattamento con acido acetilsalicilico, la comune aspirina, e cilostazolo, usato per ridurre il dolore: il taurisolo «ha mostrato di contribuire in maniera significativa all'integrità dei vasi sanguigni, riducendo il rischio di ostruzioni nel microcircolo periferico». È stata quindi misurata la distanza percorsa dai pazienti per valutarne la claudicazione intermittente, una forma di zoppia dovuta appunto al dolore causato dalla patologia vascolare. «Già alla fine del trattamento - evidenziano gli autori dello studio -, i soggetti diabetici che avevano ricevuto il taurisolo mostravano un aumento del 16% della distanza camminata rispetto al gruppo che aveva ricevuto solo un placebo. Il miglioramento della deambulazione si è mostrato stabile anche dopo tre mesi dalla fine del trattamento e si è accompagnato a una riduzione della concentrazione di Tmao nel sangue dei pazienti trattati che si è mantenuta anche dopo sei mesi dalla fine dello studio». Inoltre, «chi aveva integrato il taurisolo ha riportato un generale miglioramento della qualità della salute fisica e mentale».

Insomma, ce n’è abbastanza perché «l’uso del taurisolo in combinazione con le terapie esistenti - come dice Fulvio Ferrara, direttore del dipartimento di Medicina di laboratorio del Cdi - offra nuove prospettive per il trattamento dell’arteriopatia periferica che rappresenta una delle maggiori complicanze croniche del diabete e una sfida per la sanità mondiale», se si considerano anche i costi sia per la qualità di vita dei pazienti sia per i sistemi sanitari.

Tra gli esami per la valutazione del rischio cardiovascolare e nel follow-up dei pazienti affetti da patologie cardiovascolari, afferma il professor Eugenio Caradonna, coordinatore dello studio e consulente del dipartimento di medicina di laboratorio di Cdi, «abbiamo introdotto il dosaggio di Tmao nel sangue, con il medesimo percorso seguito negli Stati Uniti dalla Cleveland Clinic, perché rappresenta un passaggio fondamentale nella valutazione corretta dell’indice di rischio di danni da accumulo di radicali liberi a livello anche del microcircolo». In questo studio «è stato fondamentale nel valutare gli effetti della terapia in caso di patologia accertata ma è utile anche negli interventi preventivi volti a ridurne la concentrazione nei soggetti a rischio». Proprio vero: vino rosso fa buon sangue…

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