Lezione in una scuola paritaria salesiana in un'immagine d'archivio - Boato
Si riapre uno spiraglio per il riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato negli istituti non statali, al momento riservato ai docenti che hanno lavorato nelle scuole ex-pareggiate, diventate paritarie dopo l’approvazione della legge 62 del 2000.
Proprio quando sembrava che una sentenza della Corte Costituzionale dello scorso luglio avesse chiuso definitivamente il caso, lasciando nel limbo migliaia di docenti che erano transitati dalla scuola paritaria alla statale, un pronunciamento di questi giorni del Tribunale di Palermo, Sezione Lavoro, riapre la partita, almeno, come detto, per gli insegnanti che hanno lavorato nelle scuole pareggiate.
Il caso è stato sollevato dall’avvocata Angela Maria Fasano, legale di un professore dell’Istituto Salesiano “Don Bosco” del capoluogo siciliano, che ha portato in Tribunale la questione della corretta applicazione dell’articolo 485 del decreto legislativo 297 del 1994 che, secondo la Consulta, «non consente di valutare, ai fini della ricostruzione di carriera e della mobilità – si legge in una nota della Corte – l’insegnamento prestato presso le scuole paritarie, prima dell’immissione nei ruoli della scuola statale».
Un divieto che, però, ha deciso il Tribunale di Palermo, non si applica alle scuole pareggiate, «a meno che risulti provato che esse, nelle more, hanno mutato le proprie caratteristiche tanto da portare ad escludere in concreto che esse siano equiparabili alle scuole statali, come la norma in parola prevede quanto ai servizi in esse prestati».
Non è questo il caso, però, dell’Istituto “Don Bosco” di Palermo che prima dell’entrata in vigore della legge sulla parità scolastica, ormai più di 22 anni fa, era appunto in regime di scuola pareggiata e, di conseguenza, equiparata alle scuole statali. Per questa ragione, il docente assistito dall’avvocata Fasano, al quale non erano stati finora riconosciuti i quindici anni di servizio prestati prima di entrare in ruolo nella scuola statale, si è visto attribuire arretrati per oltre 60mila euro, oltre all’adeguamento dello stipendio e della futura pensione.
«Nella stessa situazione si trovano migliaia di insegnanti ingiustamente penalizzati – ricorda la legale siciliana –. Ora stiamo lavorando per fare in modo che anche gli ex-docenti delle scuole legalmente riconosciute, diventate nel frattempo anch’esse paritarie ma non considerate in questa sentenza, possano finalmente vedere riconosciuto un loro sacrosanto diritto alla ricostruzione della carriera e all’adeguamento dello stipendio. Quella nei confronti degli ex-docenti della scuola paritaria è una terribile ingiustizia che deve finire. Questa sentenza è un primo, importante tassello verso il pieno riconoscimento del lavoro prestato nelle scuole non statali».
Un punto sottolineato dalla stessa sentenza dei giudici palermitani, quando scrivono che il lavoro prestato nelle scuole pareggiate presenta «quella omogeneità di struttura, delle prestazioni e delle modalità del loro svolgimento», rispetto alle scuole statali, «che renderebbero ingiustificato il diniego del loro riconoscimento ai fini della ricostruzione della carriera».
Un danno che, ancora oggi, riguarda decine di migliaia di insegnanti. Basti pensare che, sempre a proposito di buste paga, in un ricorso del 2017 al Parlamento Europeo, il Comitato che rappresenta gli ex-docenti delle paritarie oggi di ruolo nello Stato, aveva quantificato in più di 2,5 miliardi di euro, i risparmi per l’erario derivati dall’omessa rideterminazione delle buste paga. E questo considerando soltanto il 30% degli oltre 300mila docenti assunti in ruolo a partire dal 1999, quelli con un’anzianità di servizio nelle paritarie compreso tra i 9 e i 15 anni.