mercoledì 15 aprile 2020
Malta avrebbe mentito anche alle autorità italiane. Tripoli si rifiuta di farli sbarcare
Immagine d'archivio

Immagine d'archivio - Marina Militare Italiana

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Si trovano in acque libiche i migranti dispersi da sei giorni nel Canal di Sicilia. Il barcone è stato ritrovato martedì pomeriggio alla deriva in acque di ricerca e soccorso di competenza maltese. In totale 12 persone hanno perso la vita in quella che passerà alle cronache come "la strage di Pasquetta". A bordo sono stati trovati 5 cadaveri, ma i 47 superstiti hanno raccontato che sette loro compagni di sventura sono morti affogati, dopo sei giorni in mare senza acqua né cibo e con onde di oltre due metri. L'Organizzazione mondiale dei migranti (Oim) ha avuto conferma recandosi direttamente sul porto di Tripoli dove un motopesca libico con il carico di disperati attende ancora l'autorizzazione allo sbarco, che le autorità libiche al momento rifiutano.

Questa mattina una fonte di alto livello della diplomazia maltese aveva assicurato che "non ci sono migranti né dispersi in mare", negando però di sapere dove fossero i 55 che ancora mancavano all'appello. Una menzogna che sta suscitando irritazione negli organismi internazionali che da giorni chiedevano notizie certe senza mai avere risposta. "Sarebbe il gruppo di persone in mare da giorni?", domanda Carlotta Sami, portavoce di Unhcr-Acnur. "Ritardi nei soccorsi inaccettabili - aggiunge -. Nessuno può essere riportato in Libia da acque internazionali". Secondo l'Oim i migranti sono stati salvati da una nave non meglio precisata "nave commerciale nella zona di ricerca e salvataggio maltese e consegnati alla guardia costiera libica". Un respingimento in violazione delle norme internazionali che vietano di riportare in Libia profughi e richiedenti asilo "Ribadiamo che le persone soccorse in mare - aggiunge l'agenzia Onu per le migrazioni - non devono essere restituite ai porti non sicuri. Un'alternativa allo sbarco in Libia deve essere trovato urgentemente".

Il silenzio maltese aveva costretto ieri la Guardia costiera italiana a pattugliare con motovedette e velivolo le acque esterne all'isola di Lampedusa alla ricerca di eventuali naufraghi. I migranti però erano già stati individuati e segnalati da Malta a una motovedetta libica senza informare il Coordinamento dei soccorsi italiani che ha dovuto pattugliare a vuoto fino a notte fonda.

"Vogliamo la verità sulle 55 persone disperse. Non è sostenibile che donne bambini e uomini chiedano aiuto per sei giorni e i governi di due paesi aspettino che vengano inghiottiti dal mare", dice Alessandra Sciurba, presidente di Mediterranea Saving Humans. "E se fosse lo stesso caso della barca con cinque persone senza vita adesso davanti le coste libiche non sarebbe meno grave e non sarebbe una condanna minore, con gli stessi mandanti", osserva ancora. .

Proprio ieri il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli in varie interviste aveva ribadito che la situazione nel Mediterraneo è sotto controllo è non c'è nulla che sfugga alle autorità. Parole che contrastano con il ritrovamento dei cinque migranti morti di stenti a causa della prolungata permanenza in mare. Vite che avrebbero potuto essere salvate se tutte le autorità marittime fossero intervenute per tempo.

Lunedì notte un cargo portoghese aveva avvistato il gommone ma a causa della tempesta non era riuscito a intervenire. Ora la nave Ivan, diretta a Genova, potrebbe dover spiegare cosa è accaduto e quale autorità marittima li avesse autorizzati a lasciare l'area nonostante non arrivasse alcun soccorso.

A conferma della situazione oramai fuori controllo a Tripoli, si apprende che la nave militare italiana Gorgona era stata costretta ad allontanarsi dal porto tripolino a causa dei bombardamenti. Poche ore fa è tornata in banchina, ma il clima rimane tesissimo. In banchina, come testimoniano alcune foto dai funzionari Onu a Tripoli, ci sono gli operatori delle agenzie internazionali "in attesa di offrire acqua, assistenza medica, coperte per circa 47 passeggeri a bordo della nave intercettata in mare e ora nel porto di Tripoli, in attesa di sbarco", si legge in un tweet di Acnur-Unhcr Libia. "Ripetiamo che la Libia - aggiungo - non è un porto sicuro per lo sbarco".

Nel Mediterraneo i profughi "vengono lasciati morire o messi nelle mani dei libici per essere riportati in un paese in guerra. I morti sono tutti uguali, le vite valgono tutte allo stesso modo. Oppure - denuncia Mediterranea - lo dicano finalmente questi ministri e questi governi, che ci sono esseri umani che vanno solo fatti scomparire".

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