Il rogo della Torre dei Moro di via Antonini il 29 agosto 2021 - IMAGOECONOMICA
«La catenina della cresima e un piatto del servizio di mia madre. Sono le sole cose che le fiamme non hanno distrutto. Tutto il resto... gli scaffali con i libri, il pianoforte...tutto, dal letto alla cucina, non c’è più». Mirko Berti, 60 anni, portavoce del Comitato Rinascita Antonini 32 ha perso tutto nell’incendio della Torre dei Moro a Milano, il 29 agosto di due anni fa. «Da allora quando entro in un locale la prima cosa che guardo e che tengo sempre d’occhio è dove si trova l’uscita più vicina», prosegue. Come chi è scampato a un attentato terroristico. Insieme a lui ci sono altre 17 famiglie, che hanno avuto la casa completamente distrutta, altri 26 nuclei con danni non riparabili e 80 famiglie alle quali l’incendio ha intaccato le loro vite. Qualcuno di loro nel frattempo ha preso in affitto un’altra casa, altri sono nelle residenze proposte dal Comune e Regione. Molti sono ospiti di amici e parenti, altri ancora sono andati via da Milano.
Oggi la Torre dei Moro, mutilata delle sue iconiche “vele”, più che l’albero maestro di un veliero ricorda un gigantesco mozzicone di sigaretta spento nella periferia Sud di Milano. Vele che, si scoprì quel giorno, contribuirono in modo determinante al propagarsi delle fiamme.
«Noi pensavamo che fossero ignifughe», ricorda Berti. Erano di lamiera d’alluminio rivestito di materiale plastico infiammabile. Le fiamme dell’incendio avvolsero l’edificio di 19 piani per 60 metri di altezza in pochi minuti. Da allora anche il soprannome cambiò: le vele diventarono “la casa di carta”. Erano passate le 17.30 circa del pomeriggio del 29 agosto di due anni fa. L’ultima domenica di agosto in una Milano semi deserta e con il palazzo mezzo vuoto. Fu il motivo per cui non ci furono vittime, a differenza di quanto avvenne nel rogo della Grenfell Tower a Londra (all’una di notte del 14 giugno 2017), in cui invece morirono 72 persone.
La dinamica dell’incendio fu uguale: una volta raggiunto il rivestimento esterno, l’incendio si propagò «a velocità terrificante». Dopo quella tragedia in Gran Bretagna venne introdotto l’obbligo di usare materiali incombustibili per edifici più alti di 11 metri. In Italia invece la normativa non è cambiata e si può continuare costruire con materiali che si sono rivelati altamente pericolosi. in una nota congiunta del collegio degli ingegneri e architetti di Milano, dalla Uil Lombardia, da Confabitare (associazione di proprietari immobiliari) e dal gruppo Rockwool che si occupa di isolamento degli edifici. Viene sottolineata in particolare l’arretratezza della legislazione italiana in materia antincendio rispetto a quasi tutti gli paesi europei.
Un altro aspetto che i residenti di via Antonini hanno sperimentato sulle loro vite è l’assenza di una quadro normativo per un evento disastroso come questo, a differenza di quanto avviene per chi è colpito da terremoti e calamità naturali. Non c’è la sospensione automatica dell’Imu, se non interviene il Comune. Non c’è la sospensione automatica dei mutui, e all’epoca dovette intervenire il prefetto (oggi i mutui sono ripartiti). Il sistema degli aiuti pubblici poi si basa sull’housing sociale. Comune e Regione nel fornire gli alloggi sono vincolati al sistema di edilizia pubblica, che prevede soglie di reddito stringenti e mancanza di altri immobili. Così basta per esempio aver ereditato l’appartamento dei genitori da tutt’altra parte e non si ha diritto alla casa. l 19 giugno scorso il consiglio comunale di Milano ha approvato all’unanimità un ordine del giorno di Matteo Forte (FdI), alla cui stesura ha collaborato lo stesso portavoce del comitato dei residenti di via Antonini, con delle misure quadro denominate “Protocollo di via Antonini” per equiparare le linee di intervento a quelle nei casi di terremoti e calamità naturali.
C’è poi il nodo che i residenti stanno affrontando in questi mesi, quello assicurativo. Le polizze coprono le spese di demolizione fino a 150mila euro, cifra fino a fino a dieci volte inferiore rispetto alle spese reali. Le trattative per la ripartizione delle spese sono in corso ed entro novembre si dovrebbe partire con i lavori. Il progetto scelto dagli stessi abitanti per la ricostruzione ed approvato dalla commissione comunale, è quello dell’architetto Marco Piva, che prevede il ripristino della facciata originaria (salvo la grande vela) con balconi e terrazzi lungo l’edificio. La parte antincendio, con l’utilizzo di materiali totalmente ignifughi, è affidata all’ingegner Antonio Corbo, autorità in materia, con l'ambizione di realizzare l'edificio più sicuro di Milano.
Per quanto riguarda invece l'inchiesta giudiziaria sono18 gli imputati per disastro colposo Pluriaggravato con pene previste che vanno dai 3 a 15 anni. 100 le parti civili. Tra i rinviati a giudizio ci sono Alberto e Roberto Moro, i costruttori dell’edificio di via Antonini, l'amministratrice della società committente e venditrice degli appartamenti, e il legale rappresentante e l’export manager di Alucoil, l’azienda spagnola produttrice dei pannelli che rivestivano il grattacielo e che sono stati ritenuti dalla Procura «altamente infiammabili». In seguito alle indagini coordinate dalla procuratrice Aggiunta Tiziana Siciliano e dalla pm Marina Petruzzella e alle perizie dei tecnici dei vigili del fuoco sono emersi materiali da costruzione non conformi ed altamente infiammabili e gravi difetti costruttivi.