sabato 23 ottobre 2021
14enne nera aggredita dalle compagne a Torino, 9 adolescenti denunciati a Forlì. Genitori ed educatori si interrogano sulla rabbia giovanile. L'appello degli esperti: approccio educativo da rinnovare
Bullismo e razzismo a scuola. Cosa c'è dietro il malessere dei giovani?

Ansa

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Ancora episodi di discriminazione violenta. Ancora ragazzi protagonisti negativi di bullismo a sfondo razzista. Dopo la lettera aperta di un padre che, nel Cosentino, tre giorni fa, ha denunciato il figlio autore di un pestaggio ai danni di un ragazzo più piccolo, ieri sono emersi altri episodi in Piemonte e in Romagna.

A Torino una ragazza di 14 anni è stata picchiata e insultata davanti a scuola, per il colore della sua pelle. «Mi ha chiamata scimmia, mi ha detto che quelli come me devono morire», ha raccontato la giovane che ha denunciato l’aggressione alla polizia. È accaduto all’esterno di un istituto alberghiero. «Ero appena arrivata ed ero con le mie amiche, quando si è avvicinata una ragazza di un’altra classe. Mi ha afferrata per i capelli, mi ha strappato alcune treccine. Si è seduta sopra di me, schiacciandomi con un ginocchio e dandomi colpi sul costato». Chi l’ha aggredita si è poi presentata al pronto soccorso con alcune contusioni alle mani, sostenendo di avere difeso un compagno disabile «dall’atteggiamento ingiusto della ragazza». Ma l’aggressione è stata filmata e alcuni genitori hanno mandato il video alla madre. «Non riesco nemmeno a guardarlo. In tanti anni in Italia, nessuno mi ha mai offesa per le mie origini. Mentre mia figlia si trova a combattere con il razzismo. Le consiglio di passare oltre, di non prendersela».

A Forlì poi otto minorenni tra i 13 e i 17 anni sono stati denunciati a piede libero e un altro è finito agli arresti per numerosi atti di bullismo che si sono verificati in città negli ultimi mesi, in particolare in alcuni parchi cittadini. La baby gang prendeva di mira coetanei con atti di bullismo che sfociavano in rapine, estorsioni, lesioni anche con l’utilizzo di oggetti atti ad offendere e furti. I giovanissimi depredavano le loro vittime di cellulari, biciclette, denaro.

Malessere, indifferenza, vulnerabilità, rabbia, disagio. Tante parole per dire ciò che non riusciamo a comprendere. I nostri adolescenti stanno male, le richieste di sostegno psicologico, già elevatissime prima della pandemia, sono ora schizzate verso l’alto, i genitori sono confusi e disorientati, la scuola sembra aver abbandonato l’impegno educativo per rifugiarsi nell’area delle competenze.

«Mancano le figure di riferimento, quelli che un tempo si sarebbero chiamati "mentori", i nostri ragazzi non riescono più a invidiarle né nella genealogia familiare e neppure nella storia», osserva Paolo Inghileri, docente di psicologia sociale alla Università Statale di Milano. È il grande problema del rapporto tra confusione sociale e disagio personale. Non è un mistero che dopo grandi catastrofi epocali – una guerra, una pandemia, un profondo sconvolgimento politico – si registri un aumento di patologie mentali, come se il cervello, "dentro", facesse fatica a rimettersi in equilibrio con quanto avviene "fuori".

«Quanto più il contesto sociale è complicato tanto più la sofferenza dei ragazzi si manifesta con comportamenti patologici. Nell’ultimo decennio è molto cambiato il modo di manifestare il dolore. Il bullismo nasce proprio dalla difficoltà di interpretare il compito di diventare grandi», fa notare Anna Arcari, psicologa e psicoterapeuta, presidente della Cooperativa Minotauro di Milano.
Cosa sta capitando? Alle fatiche derivanti dalla fase fisiologica di riorganizzazione mentale dell’adolescenza si stanno sommando le ansie della pandemia, con un effetto moltiplicatore in cui solitudine reale e socialità virtuale diventano acceleratori di un processo sempre meno difficilmente controllabile.

«La pandemia, in rapporto all’utilizzo dei device elettronici, ha sdoganato comportamenti su cui prima noi adulti avevamo molto perplessità. Ma dobbiamo ammettere – sottolinea Ciro Cascone, procuratore presso il Tribunale dei Minori di Milano, e docente alla Cattolica – che il web moltiplica tutto, anche gli effetti legati a possibili reati». Il procuratore parla di sexting e revenge porn, che in termini giuridici diventano diffusione non consensuale di materiale pornografico o pedopornografico, in base all’età dei ragazzi.

Che fare? La fatica di educare significa superare la logica che vorrebbe limitarsi a gestire l’emergenza per puntare sulla prevenzione, a casa ma soprattutto a scuola visto che – come spiega Nicola Iannaccone, psicologo e psicoterapeuta, responsabile dell’Ats di Milano – il bullismo è fenomeno sociale e i progetti per contrastarlo esistono. «Il nostro si intitola "Non stare a guardare" e, quando viene applicato, offre ottimi risultati, perché va oltre l’obiettivo di contrastare il bullo, che non sempre è possibile, ma punta a dare sostegno alla vittima con un cambio di prospettiva che diventa scelta educativa».

Sullo sfondo rimane la fatica di accompagnare ragazzi che sembrano faticare sempre di più a sentirsi adeguati e mostrano, oggi più che mai quella che già vent’anni fa un grande specialista come Gustavo Pietropolli Charmet, definiva "fragilità narcisistica". E dalla fragilità al bullismo – di cui è parlato in un incontro giovedì sera all’Ambrosianeum di Milano – il passo è breve. A parere di Anna Arcari siamo di fronte a scelte educative poco coerenti. Non si punta sull’impegno ma sulla promessa di diventare felici sempre e ad ogni costo, si è messa da parte l’idea dell’impegno da cui derivano risultati e successi per sollecitare all’autostima: «Le famiglie si sono trasformate da istruttive a sponsor dei figli – fa notare la psicologa – e al centro c’è sempre e, talvolta soltanto, l’affetto. Così alle prime delusioni il rischio del crollo è inevitabile perché, appunto, scatta la "fragilità narcisistica".

Che vuol dire non riuscire a crescere, sentirsi inadeguati, costringersi a fare qualcosa per sembrare grandi, potenti, ma anche pre-potenti, prevaricatori. Atteggiamento che fa immediatamente scattare negli adulti un cambio di registro educativo: dalla promozione, dal sostegno indiscriminato alla punizione vecchia maniera che i ragazzi non riescono a comprendere. La reazione è immediata. I ragazzi non si fidano più degli adulti, si chiudono, mostrano aggressività verso se stessi e verso gli altri. Dal mondo reale ci si rifugia nel mondo virtuale. «Ma non bisogna arrendersi – sollecita ancora Arcari – il bullismo si vince se diamo ai nostri ragazzi esempi di incontro e di tolleranza, partendo dai nostri limiti e dalle nostre imperfezioni. Ma allo stesso tempo, come educatori, dobbiamo adeguare le nostre conoscenze e dare più forza alle nostre reti di collaborazione tra adulti».

Senza dimenticare il ruolo delle istituzioni e le opportunità offerte dalla legge, che esiste fin dal 2017, ricorda il procuratore Cascone, ma a cui si ricorre poco. Per esempio l’oscuramento del video e l’ammonimento del questore che la legge pur prevede per i colpevoli di bullismo, rimangono prassi quasi sconosciute. A Milano in 5 anni ci sono stati solo due ammonimenti, che non saranno la soluzione decisiva ma rappresentano comunque un segnale da parte delle istituzioni. «Né i ragazzi né i genitori denunciano – conclude Cascone – perché troppo spesso alla vergogna si somma la paura». Si può spezzare questo cortocircuito? Sì, con scelte educative contro ogni discriminazione, spiegando ai ragazzi che ogni "diverso" è in realtà identico a noi.


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