
Solo metà dei progetti ritenuti idonei, periodi di intervento più lunghi, corsa contro il tempo per ricevere i fondi garantiti dal Pnrr. La situazione dei braccianti rischia di restare un dossier irrisolto per il governo, almeno alla luce di quanto scritto nella delibera 30 approvata il 14 febbraio scorso dalla Corte dei Conti, che fa il punto sul superamento dei “ghetti”, gli insediamenti abusivi in cui vivono i lavoratori sfruttati, in particolare nell’agricoltura. Si va da situazioni di illegalità consolidata nel Mezzogiorno, come Rosarno in Calabria, Castel Volturno in Campania, San Severo, Cerignola e Manfredonia in Puglia, la stessa Latina nel Lazio, fino a casi meno noti nel Centro-Nord Italia, da Saluzzo e Albenga in Piemonte e Liguria a Porto Recanati nelle Marche, passando per Castel del Piano, in Toscana. È la mappa dello sfruttamento dei migranti stranieri impegnati nei campi in condizioni di palese irregolarità, senza diritti e senza contratti, da padroni senza scrupoli. Una situazione più volte denunciata, anche a seguito di vicende drammatiche come quella di Satnam Singh, il lavoratore di origine indiana lasciato agonizzante fuori da casa e poi morto, nelle terre dell’Agro Pontino. Temi ben conosciuti dalle istituzioni, che avevano promesso di stanziare 200 milioni attraverso i finanziamenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza per bonificare le aree di illegalità, mettere in sicurezza i territori e individuare le prime soluzioni abitative per gli sfruttati. Ora si cambia rotta: rinvio di 15 mesi rispetto al termine fissato del marzo 2025, riduzione dei piani ritenuti «idonei», richiesta di coinvolgimento delle Regioni a fianco dei Comuni interessati. Sono emerse infatti «numerose criticità in merito alla realizzazione dei previsti 37 progetti», scrive la Corte dei Conti, dopo le verifiche effettuate nei mesi scorsi dal commissario straordinario Maurizio Falco, nominato dal governo lo scorso mese di giugno.
Promossi e bocciati
Diciannove Comuni «potenzialmente idonei» su trentasette, per un totale di 6.148 posti letto da garantire ai braccianti. Non solo: le somme da impegnare sarebbero ben al di sotto dei 200 milioni inizialmente previsti, attestandosi intorno a quota 110 milioni. Nel dettaglio, tra i centri assegnatari delle potenziali risorse ci sono tra gli altri Manfredonia, Cerignola, Latina, Rosarno, San Ferdinando e Castel Volturno. In tutti i casi, l’intervento prevede la realizzazione di unità abitative (container) o la ristrutturazione di edifici di proprietà dell’ente. A Saluzzo è atteso l’acquisto di moduli leggeri, a San Marco in Lamis la costruzione di mini-appartamenti negli immobili di proprietà del Comune. La presa in carico dei braccianti consiste dunque nell’individuare alloggi e soluzioni abitative che cancellino l’attuale emergenza delle case-dormitorio o, peggio, dei sottotetti in cui tanti lavoratori finiscono ammassati nelle campagne, sotto il giogo dei caporali. Resta aperto il capitolo sulle condizioni di lavoro e sugli aspetti criminali del reclutamento, su cui diverse inchieste della magistratura sono state avviate (a volte su denuncia degli stessi braccianti). Da questo punto di vista, il rapporto della Corte dei Conti spiega che «l’intervento è in esecuzione del piano strategico contro il caporalato in agricoltura e la lotta al lavoro sommerso varato nel 2020 ed è parte di una più generale strategia», che «comprende anche l’aumento del numero degli ispettori del lavoro e la recente sanatoria per i lavoratori agricoli e domestici irregolari». Quali sono stati invece i Comuni ritenuti «inidonei»? Su tutti, Albenga, Brindisi, Salemi e San Severo, a causa dell’«eccessiva durata del cronoprogramma (24-27 mesi)». San Severo, in particolare, è un’esclusione destinata a far discutere, visto che salterebbero automaticamente 2mila posti letto necessari al Comune per uscire dall’emergenza “ghetto”. Di non poco conto, nella valutazione complessiva, è il fatto che per risolvere i problemi gli enti locali possano mettere a disposizione aree o edifici di proprietà degli stessi Comuni: è stato così in 14 delle situazioni censite.
Le critiche dei sindacati
«È un’occasione persa, l’ennesima». Il commento dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, per bocca del suo presidente Jean-René Bilongo, è sibillino. «Il governo ha scelto una scorciatoia. Quel dimezzamento da 200 a 110 milioni di euro è emblematico del malcelato disinteresse ad affrontare in maniera organica la questione dello sfruttamento e del caporalato che si declina anche attraverso le condizioni alloggiative dei lavoratori. Si conferma la nostra intuizione circa il rifiuto del governo di garantire una cornice di dignità a tante donne e uomini che lavorano in agricoltura».
Anche per Fai-Cisl e il suo segretario, Onofrio Rota, «dobbiamo uscire dalla logica dell’emergenza con cui gestiamo il lavoro dei migranti. Oltre agli strumenti repressivi, da applicare e potenziare, vanno rafforzati quelli preventivi, a cominciare da una seria politica abitativa». Secondo Fai-Cisl, «dei 200 milioni stanziati per gli alloggi dei braccianti a livello nazionale, di cui 114 per il Foggiano, ad oggi ci risultano spesi zero euro: è positivo che adesso sia in corso un monitoraggio dei progetti presentati, però bisogna fare in fretta. Riteniamo necessaria una forma di emersione per i tanti immigrati già residenti sul territorio ma divenuti irregolari e impiegati ogni giorno nella nostra agricoltura. Siamo infatti in presenza di un'ipocrisia inaccettabile che nega diritti e dignità».
Il nodo dei fondi
Per il resto, quali sono state le criticità rilevate dalla Corte dei Conti? Su tutte, «la difficoltà a lavorare in sicurezza» nei contesti d’intervento, «l’indeterminatezza del numero di destinatari dell’intervento», la «difficoltà nel reperimento degli immobili». Complessivamente, secondo la Corte dei Conti siamo comunque di fronte a «un progetto molto sfidante che, tuttavia, avrebbe ancora potuto essere perseguito e realizzato entro il previsto termine del marzo 2025, qualora tutte le risorse disponibili fossero state messe a sistema in contesto di grande e convinta collaborazione». Da qui, vengono elencati anche alcuni possibili passi da compiere. Tra questi, ci sono tra l’altro il coinvolgimento diretto delle Regioni in supporto alle amministrazioni comunali, per garantire «una maggiore uniformità nell’attuazione del cronoprogramma delle attività» e l’avvio di «procedure d’acquisto centralizzate di moduli abitativi standard attraverso la stipulazione di accordi quadro» con Consip o Invitalia. Resta infine il nodo dei fondi da spendere, una volta approvati i progetti: da dove arriveranno? Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto, «la sostenibilità futura dell’intervento sarà garantita dal Fondo Fami», il Fondo asilo migrazione e integrazione, un altro strumento finanziario previsto dall’Unione Europea la cui gestione è affidata al Dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’lnterno. «Il che vuol dire - secondo Bilongo - da una parte mettere ancor più in crisi le già limitate politiche di integrazione e, dall’altra, escludere da quegli schemi di accoglienza i lavoratori europei, come romeni e bulgari».