«Le navi Costa sono le uniche al mondo con a bordo la cappella, luogo di culto aperto a passeggeri ed equipaggio». Parola di
Neil Palomba, vice presidente hotel operations di Costa Diadema, l’ammiraglia della flotta, varata ieri a Trieste. Iniziamo dalla bella notizia, che confermiamo: lo stile è un po’ kitsch ma la cappella c’è e, in una nave che cerca l’eccellenza, è senz’altro un punto a suo favore. Quello che però improvvisamente manca, dopo tanti anni di collaborazione, è il cappellano: «È vero, nel 2014 li abbiamo eliminati da tutte le navi – ammette Palomba –. È una scelta in linea con il mercato mondiale delle crociere ». Punto. Una frase che ci hanno ripetuto identica più persone, dunque concertata come voce ufficiale, ma che in fondo non spiega nulla, proprio perché Costa mira «a differenziarsi», a dare quel che gli altri non danno. Navi come la Diadema sono città galleggianti, vere e proprie comunità, non tanto per i 5.000 passeggeri che dopo una settimana scendono, ma per i 1.253 uomini e donne dell’equipaggio che navigano mesi, e il cappellano era il loro punto di riferimento. Delusione forte anche per i crocieristi, tanto che il nostro giornale ha ricevuto un mare (è il caso di dirlo) di lettere di protesta: niente più Messa quotidiana e nemmeno la domenica. Chi ha scritto alla compagnia ha ricevuto la stessa risposta: «Scelta in linea con il mercato mondiale delle crociere». Vuoto che ad agosto alcuni turisti hanno colmato facendo celebrare la funzione a un sacerdote che viaggiava privatamente. Il servizio clienti, però, non ha permesso la diffusione della notizia: no a un semplice avviso sulla porta della cappella, né tantomeno sul foglio informativo, peraltro dettagliatissimo su qualsiasi iniziativa a bordo. Il tutto per «rispetto della pluralità culturale». Ma pluralità significa che tutti possono, non che a tutti è impedito. «Un incidente che non si ripeterà - assicura Palomba -. Ogni volta che un sacerdote vorrà dire Messa, avrà la cappella a sua disposizione». Ma sulla presenza del cappellano non si torna indietro, nonostante la tradizione targata Costa e l’ambizione del nuovo proprietario (l’americana Carnival) di «rappresentare l’eccellenza italiana nell’ospitalità e nello stile». I tempi cambiano - sottolinea Palomba - «30 anni fa c’era un solo bar, oggi ne abbiamo 15 e facciamo un’analisi costante per verificare quali servizi soddisfano il cliente. Andiamo dove il mercato tira e valutiamo i grandi numeri». Non fa una piega, un po’ cinico ma comprensibile, ma resta oscuro il motivo per cui la Messa dovrebbe disturbare il mercato e pure il fatto che «ci sono celebrazioni affollate e altre in cui vanno due o tre persone» non è sufficiente. Anche la Messa così diventa una questione di numeri, di mercato, appunto: «Avremo i cappellani a bordo quando serve, cioè nelle crociere di Natale e Pasqua». La stragrande maggioranza dell’equipaggio è orientale e sudamericana, e per gente di mare, lontana da casa anche otto mesi consecutivi, la devozione è un fatto vitale. «Ogni giorno si attracca in una città – ci rispondono – possono scendere e andare in chiesa lì...». Chiunque abbia provato una crociera e visto i ritmi di lavoro necessari per far funzionare alla perfezione una macchina tanto complessa, sa bene che non è così. Il cappellano, a prescindere dal credo, consigliava, traduceva, pacificava (marinai, cuochi e camerieri appartengono a 35 nazionalità), trovava le parole giuste per comunicare la nascita di un figlio avvenuta lontano o la morte di un familiare... Per tutto ciò la Costa ha già sopperito con un «gestore delle risorse umane», magari bravissimo a distribuire la posta e sopire le divergenze, ma certo non può offrire supporto spirituale o una risposta di fede. «Noi dell’Apostolato del mare continueremo comunque a collaborare con Costa», rassicura don Alessandro Amodeo, cappellano del porto di Trieste e direttore della Caritas diocesana, invitato per il varo pubblico. «Ad ogni approdo di nave allestiamo un punto mobile dentro la Stazione Marittima, dove i marinai trovano un punto d’appoggio per telefonare a casa senza spendere, risolvere mille problemi pratici, essere ascoltati, poter stare con i piedi per terra tra amici». Al timone della Diadema c’è il comandante Massimo Garbarino, che ad
Avvenire nel 2002 affermava: «Il cappellano è fondamentale, fa socializzare un intero equipaggio, non dice solo Messa... Molti turisti sul modulo del gradimento dichiarano di aver scelto una nave Costa perché l’unica con il sacerdote a bordo».
Una chiesetta nel transatlantico? Solo la compagnia «genovese» continua a garantirlaAll’ingresso, semplice e rassicurante, la statua bianca della Madonna di Fatima, quella tradizionale. Di fronte, un quadro con la figura di Cristo. Girato l’angolo, si accede alla cappella vera e propria: pavimenti blu, panche spaziose in legno chiaro, un piccolo altare in marmo lucido, pareti d’oro sulle quali campeggiano ritratti di santi a grandezza naturale, scelti senza un filo conduttore ma tra i più popolari: santa Lucia, santa Teresa di Lisieux, san Pietro, santa Caterina da Siena... Tra un santo e l’altro, i quadri con le stazioni della Via Crucis. D’oro anche il soffitto, con grandi bolle blu che riprendono il tema decorativo ripetuto spesso negli immensi saloni della nave Diadema. Non una chiesa secondo lo stile che ci ha resi unici al mondo e che attira in Italia i cultori dell’arte, insomma, ma senza dubbio uno spazio in cui passeggeri ed equipaggio possono ritirarsi a pregare e soprattutto dove i sacerdoti eventualmente presenti sulla nave potranno dire Messa per chiunque lo richieda. Una possibilità che solo le navi Costa continuano a garantire.