giovedì 14 novembre 2024
L'Asl 1 di Perugia, sulla scorta di due sentenze della Corte costituzionale, ha riconosciuto che esistono i presupposti per concedere alla donna affetta da sclerosi muitipla, il diritto di morire
Laura Santi

Laura Santi - Foto Ansa

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Esulta Laura Santi, la 50enne di Perugia affetta da una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla a cui l’Asl 1 del capoluogo umbro ha dato il via libera per il suicidio assistito. Esultano le associazioni, la “Luca Coscioni” in testa, che si battono per la libertà di autodeterminazione dei malati gravissimi. Esultano i libertari di diversa estrazione. Di fronte a tanta soddisfazione per la morte che sembra avere il sopravvento sulla vita, c’è invece chi dovrebbe recitare il mea culpa. A cominciare dalla politica, per proseguire con alcuni ambiti della società civile. Perché è solo a causa del vuoto legislativo colmato – ma non risolto - da una sentenza della magistratura su un tema così fondamentale come il fine vita che oggi una commissione medica di una delle tante aziende sanitarie del Paese, può prendere decisioni come quella che riguarda la donna perugina.

Ora Laura, a cui siamo umanamente vicini e di cui ci sentiamo di condividere l’enorme sofferenza che l’ha portata alla decisione di farla finita, è libera di scegliere. E ci chiediamo quale forza interiore, quale ferrea determinazione abbia animato questa donna nella tenace volontà di considerare il suo cammino su questa terra talmente insopportabile da desiderarne la fine. Dopo due anni dalla sua richiesta per l'accesso al suicidio assistito, dopo due denunce, due diffide, un ricorso d'urgenza e un reclamo per ottenere una risposta da parte dell'azienda sanitaria umbra, è arrivata la relazione della commissione medica. Gli esperti hanno riconosciuto che il caso di Laura Santi presenta i quattro requisiti previsti dalla sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato-Dj Fabo che in Italia ha legalizzato il suicidio assistito. Quindi la donna è stata considerata: 1) capace di autodeterminarsi; 2) affetta da una patologia irreversibile; 3) che provoca sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili; 4) dipendente da trattamenti di sostegno vitale.

In particolare, la commissione medica ha confermato la presenza di questo ultimo requisito, inizialmente non riconosciutole, anche sulla base dell'ultima sentenza della Corte costituzionale (135/2024) - dove la stessa Santi era intervenuta nel giudizio ed era stata ammessa - secondo cui alcune procedure che "si rivelino in concreto necessarie ad assicurare l'espletamento di funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo, dovranno certamente essere considerate quali trattamenti di sostegno vitale".

Ora si tratta soltanto di individuare farmaco e modalità per procedere. La direzione sanitaria, con una rappresentanza della commissione medica, ha richiesto un incontro che avverrà nelle prossime settimane. Ma la strada è tracciata. Laura Santi è la prima cittadina umbra, e la nona persona in Italia, a ottenere il via libera per l'accesso alla morte volontaria assistita. Prima di lei avevano ricevuto parere positivo dalle rispettive aziende sanitarie locali Federico Carboni (nelle Marche), la signora Gloria (in Veneto) e Anna (in Friuli Venezia Giulia) che in seguito hanno proceduto con l'autosomministrazione del farmaco letale. Mentre Stefano Gheller (in Veneto), dopo aver ricevuto la relazione finale con la conferma dei requisiti previsti dalla Consulta, scelse di non procedere con l'aiuto alla morte volontaria, è successivamente deceduto a causa della malattia, mentre Antonio (sempre nelle Marche), che ha ottenuto parere favorevole al suicidio assistito, ha poi deciso di voler continuare a vivere.

Laura Santi per ottenere il rispetto della sua volontà e l'applicazione delle due sentenze della Consulta ha dovuto rivolgersi alla giustizia civile e penale, depositando le denunce contro la Usl Umbria e partecipando sempre alle udienze in Tribunale. “Sono anni che lotto per difendere la libertà di scelta alla fine della vita – ha dichiarato Laura - Una battaglia che porto avanti, per me e per tutte le persone che si trovano e si troveranno in situazioni simili, da molto prima che la mia malattia si aggravasse e mi rendesse completamente tetraplegica, preda di dolori, spasmi e sofferenze quotidiane. Ora sono felice di sentirmi veramente libera di scegliere. I tempi di risposta del Servizio Sanitario Regionale, così come sono ora, sono intollerabili perché aggiungono sofferenza a sofferenza. Per questo, se ci fosse stata una legge regionale che stabilisce tempi certi di verifica, avrei evitato circa due anni di attesa. Mi auguro che il prossimo Consiglio regionale voglia finalmente discutere e approvare la legge Liberi Subito, come chiediamo insieme all'Associazione Luca Coscioni da 2 anni''. E ha aggiunto: “Quando hai il pezzo di carta in mano e guardi al di là del parapetto provi un brivido e dici 'ok, grazie'. Da tanti anni volevo la libertà di vivere la malattia, che è già tremenda e mi ha tolto tutto, almeno con la serenità di vivere senza pensare che sono in trappola".

Una sofferenza così profonda di fronte alla quale, ripetiamo, non si può che esprimere rispetto e trattenere il giudizio, anche se le domande rimangono tante e angoscianti. A cominciare da quella che riguarda la titolarità di una Asl locale nell’assumere decisioni così definitive per la vita delle persone più fragili. In quale Stato democratico e civile - l’abbiamo scritto tante volte e torneremo a dirlo - il legislatore abdica al proprio ruolo di fronte a una questione che investe così profondamente la società e orienta il modo di pensare?

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