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Basta miliardi in armi. La maggioranza degli italiani è contraria all’aumento della spesa militare. Sia quella decisa dal governo, che quella indicata dalla nuova Commissione Von der Leyen. Una maggioranza ancora più netta, i due terzi, vorrebbe anzi che fossero tassati gli extraprofitti delle aziende che operano nel settore militare. È quanto emerge con chiarezza dal sondaggio commissionato a Swg da Greenpeace Italia e pubblicato oggi. Una ricerca che conferma la tendenza emersa già negli anni scorsi, condotta su un campione statisticamente valido di 1.200 cittadini maggiorenni.
La pubblicazione del sondaggio arriva proprio nel giorno in cui il ministro degli esteri Antonio Tajani riconferma la volontà di proseguire nella corsa al riarmo per raggiungere l’obiettivo Nato: «Stiamo lavorando per raggiungere il 2%», dichiara il vicepremier forzista. Il sondaggio di Greenpeace viene diffuso pochi giorni dopo la trasmissione al Parlamento di una manovra di bilancio che aumenta il budget della Difesa. E dal lancio della nuova campagna “Ferma il riarmo!” promossa oltre che da Greenpeace Italia, anche da Fondazione PerugiAssisi, Rete Pace e Disarmo e Sbilanciamoci!.
La ricerca evidenzia dunque che il 55% degli intervistati respinge la proposta del governo di portare il budget della Difesa al 2% del Pil entro il 2028. Solo il 23% è favorevole, mentre il restante 22% non si esprime a riguardo. Dati che confermano peraltro quanto già rilevato nel gennaio 2023, sempre da Swg per Greenpeace Italia. Anche l’aumento della spesa militare da parte dell’Unione Europea incontra forte opposizione: il 52% degli italiani si dichiara contrario, mentre solo il 27% sostiene questa posizione avanzata da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue.
Ancora più netto infine è il sostegno a una tassa sugli extra profitti dell’industria bellica. In un contesto in cui l’aumento della spesa militare scatenato dall’invasione russa dell’Ucraina sta portando incassi record al settore delle armi, due intervistati su tre (65%) sono favorevoli a un’imposta sugli utili straordinari del comparto bellico. Solo il 17% è contrario, mentre il 18% non si esprime.
«Questi risultati dimostrano chiaramente che le cittadine e i cittadini italiani vogliono meno spese militari e più investimenti per il benessere collettivo», dice Sofia Basso, ricercatrice su pace e disarmo di Greenpeace Italia. «Al contrario, il governo Meloni ha scelto di aumentare il budget della Difesa - sottolinea la ricercatrice - a discapito di settori fondamentali come sanità e welfare. È tempo che l’esecutivo e il ministro della Difesa Guido Crosetto riconoscano che inseguire l’obiettivo del 2% significa portare al collasso il nostro sistema sociale e ostacolare la transizione ecologica, ogni giorno più urgente».
Greenpeace Italia, assieme ai partner della campagna “Ferma il riarmo!”, chiede quindi di «ridurre le spese militari a favore degli investimenti in salute, istruzione, ambiente, solidarietà e pace, nonché di istituire una tassa sugli extra profitti dell’industria bellica, in modo che le risorse pubbliche possano contribuire a migliorare la vita delle persone, non a distruggerla».
Ma il governo ribadisce la volontà di procedere nella corsa al riarmo: «È giusto che l’Europa faccia di più all’interno della Nato», dice il ministro degli Esteri: «Anche sull’aumento delle spese per la Nato l’obiettivo è il 2%, un obiettivo che deve essere perseguito». Nonostante sia d’accordo solo il 23% degli italiani. «Noi stiamo lavorando per incrementare le spese e raggiungere il 2%» del Pil in favore della Difesa, conferma Antonio Tajani, «ma non è facilissimo - ammette - perché in questo momento abbiamo da rispettare anche un patto di stabilità. Abbiamo sostenuto la necessità di portare fuori dal patto le spese per la difesa».
Francesco Vignarca, responsabile delle campagne di Rete italiana pace e disarmo, ravvisa un problema di democrazia: «I dati che abbiamo diffuso come Osservatorio Mil€x a partire dalle tabelle della legge di bilancio - dice Vignarca - dimostrano davvero che la spesa militare italiana sta esplodendo. Per il 2025 si prevede un totale record di 32 miliardi di euro - dice - di cui quasi 13 solo per l’acquisto di nuovi armamenti». Nonostante questi investimenti, «non siamo ancora arrivati al livello del 2% del Pil richiesto dalla Nato». Per arrivarci, spiega l’analista di Rete pace e disarmo, «mancherebbero ancora svariati miliardi, almeno 8. Ma ugualmente si tratta di una crescita imponente: siamo ad un più 60% in cinque anni per la spesa complessiva, più 77% in cinque anni per il procurement militare».
Le decisioni sulle spese militari degli ultimi governi, «e di quello Meloni in particolare, vanno dunque in una direzione ben definita - aggiunge - che è evidentemente contraria rispetto alla volontà espressa dall’opinione pubblica italiana in numerosi sondaggi: si configura in un certo senso - è la sua conclusione - una “lacuna democratica” su un tema così cruciale - e con conseguenze rilevanti - come quello degli investimenti per armi e strutture militari».