Marcello Dell'Utri in tribunale (Archivio) - Ansa
Notizie giudiziarie di segno opposto sulla direttrice Firenze-Palermo, ma con un denominatore unico: l’ex numero uno di Publitalia ed ex senatore Marcello Dell’Utri, tra i fondatori di Forza Italia con l’amico di sempre, Silvio Berlusconi. La notizia da Firenze è un sequestro preventivo di 10,8 milioni di euro su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia nell’ambito delle indagini finalizzate all’individuazione dei “mandanti esterni” delle bombe mafiose del 1993-1994. Quella da Palermo è il rigetto, da parte del Tribunale, della misura di prevenzione della sorveglianza speciale e della confisca di parte dei beni per lo stesso Dell’Utri.
Ma andiamo con ordine. In realtà la richiesta dei procuratori aggiunti fiorentini Luca Tescaroli e Luca Turco era di sequestrare 20 milioni e 400mila euro, il Gip ha poi di fatto dimezzato la somma. L’ordinanza è datata 12 marzo. Secondo l’accusa, in quanto condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione di tipo mafioso, Dell’Utri avrebbe dovuto comunicare (in base alla legge Rognoni-Latorre) variazioni del reddito per un ammontare di oltre 42 milioni e mezzo, obbligo che invece non avrebbe osservato.
E qui s’innesta un’altra notizia, perché quasi un milione (920mila euro per la precisione) di tutto quel denaro è arrivato all’ex senatore e a sua moglie Miranda Ratti da Silvio Berlusconi: 10 bonifici da 90mila euro ciascuno (causale: “donazione di modico valore”) più un undicesimo da 20mila euro “a titolo di rimborso” in due anni, tra il maggio del 2021 e il maggio 2023. La Dda di Firenze ha rinvenuto inoltre prestiti infruttiferi, a scadenza di sei anni e senza rate, erogati a più riprese per un totale di 10,5 milioni da Berlusconi alla signora Ratti, tra il 2016 e il 2020.
Fino alla sua scomparsa, anche l’ex presidente del Consiglio risultava indagato con l’ex senatore di Forza Italia a Firenze. E l’avvocato della famiglia Berlusconi, Giorgio Perroni, ha subito espresso «amarezza e indignazione» per il fatto che, dopo il sequestro disposto dal Gip di Firenze, sia riemersa «per l’ennesima volta la fantomatica tesi sostenuta dalla Procura fiorentina secondo cui la generosità dimostrata verso il dottor Dell’Utri costituisce il “prezzo che il Presidente avrebbe pagato per il suo silenzio”». Calunnie, per l’avvocato Perroni, così come per i legali dell’ex parlamentare e manager siciliano, Francesco Centonze e Filippo Dinacci, secondo i quali le somme sono state trasferite dal Cavaliere «in maniera del tutto lecita e trasparente per ragioni di affetto e gratitudine verso l’amico Dell’Utri».
Proprio gli avvocati delle famiglie Dell’Utri e Berlusconi hanno sottolineato l’altra decisione giudiziaria, quella di Palermo, che risale al 13 marzo. Nel capoluogo siciliano, come accennato, la Sezione misure di prevenzione del Tribunale ha rigettato la richiesta della Procura di disporre la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e la confisca dei beni dell’ex senatore di Forza Italia. Per i giudici, infatti, Dell’Utri - pur essendo state acclarate in precedenza «condotte indubbiamente integranti manifestazioni di una pericolosità “qualificata”» - non è più da considerare un pericolo per la società, né attualmente «ricorrono elementi concreti e certi di un effettivo ed attuale rischio di ricaduta nel reato» di concorso esterno in associazione mafiosa.
Quanto ai soldi, il Tribunale di Palermo scrive che è «finora indimostrata» l’esistenza di accordi fra Berlusconi e Cosa nostra, perciò non è dimostrabile nemmeno «la tesi della connessione fra gli enormi versamenti e un possibile patto criminale tra Dell’Utri e Berlusconi e/o la riconoscenza (o la remunerazione) per il silenzio serbato».