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Ricordare è necessario. Non solo per commemorare vittime innocenti, ma contro una violenza risorgente che si nutre di distorsioni della storia e della realtà, confondendo vittime e carnefici, rendendo "onore" ai secondi e incolpando i primi. A 16 anni dall'uccisione del giuslavorista Marco Biagi da parte delle Brigate rosse, la necessità di mantenere alte vigilanza e memoria si rivela ancora più vera di fronte alle scritte comparse questa mattina sui muri dell'Università di Modena, proprio nel giorno dell'anniversario del barbaro assassinio, a Bologna, del professore che a Modena insegnava e che in quella università ha lasciato non solo allievi, ma un metodo di insegnamento, di ricerca e di formazione anche umana degli studenti che continua nell'opera di Michele Tiraboschi e di coloro che animano il Centro studi Adapt.
"Marco Biagi non pedala più, onore a Mario Galesi, onore ai compagni combattenti". E ancora "1.000 Biagi" sono le due scritte comparse sui muri della facoltà di Economia dell'Università di Modena. "Ricordare Marco Biagi non è uno stanco rituale ma una battaglia di verità. Una morte assurda e ingiusta, maturata in un clima d'odio e intolleranza che purtroppo non è scomparso", ha commentato su twitter Michele Tiraboschi, collaboratore e continuatore dell'opera di Biagi. Mario Galesi è il terrorista che partecipò all'omicidio di Biagi e morì nel marzo 2003 per le ferite riportate in uno scontro a fuoco con la Polfer sul treno Roma-Firenze, in cui morì il sovrintendente Emanuele Petri.
Queste le scritte oggi sui muri della facoltà di Economia a Modena. Questa la ragione del perché ricordare Marco Biagi. Non uno stanco rituale ma una battaglia di verità. Una morte assurda e ingiusta, maturata in un clima di odio e intolleranza che purtroppo non è scomparso pic.twitter.com/aNWfSMURGT
— Michele Tiraboschi (@Michele_ADAPT) 19 marzo 2018
Condanna unanime delle scritte è arrivata sia dal mondo della politica che dai sindacati.
In mattinata un comunicato del presidente della Repubblica sull'anniversario dell'uccisione di Marco Biagi aveva sottolineato come "Il terrorismo è stato sconfitto irrevocabilmente nella coscienza popolare, grazie all'unità del popolo italiano. Nel loro assalto all'ordinamento e alla convivenza civile, i terroristi hanno spezzato con disumanità tante vite e provocato immense sofferenze, ma non sono riusciti a disgregare la società e a colpire la Costituzione, che resta il fondamento della Repubblica". "Sono trascorsi sedici anni dal crudele agguato in cui venne ucciso Marco Biagi e la ferita inferta dai terroristi assassini è ancora aperta nella nostra comunità civile", ricorda Sergio Mattarella, che ha voluto poi sottolineare "il coraggio di uomini come Marco Biagi, il quale non ha rinunciato ai propri convincimenti, né alla libertà di collaborare con le istituzioni, nonostante mani omicide avessero già barbaramente colpito altri docenti universitari, come Ezio Tarantelli, Roberto Ruffilli e Massimo D'Antona, testimonia la solidità dei sentimenti di democrazia e libertà nel nostro Paese, contro ogni sopraffazione".
Uno dei figli di Biagi, Lorenzo, ha parlato di «grande disgusto» per le scritte, ed è poi intervenuto anche sulle parole della ex brigatista rossa Barbara Balzerani, che nei giorni scorsi aveva detto polemicamente che «le vittima è diventata un mestiere». «Il monopolio della parola non la vogliamo avere noi vittime - è stata la risposta di Lorenzo Biagi - ma non lo dovrebbero avere di certo loro, che sono solo degli assassini e dovrebbero tacere e basta». Infine, un messaggio agli autori dell'agguato: "Essendo una persona molto credente - ha concluso il giovane - non provo odio nei confronti di nessuno e neanche nei confronti degli assassini di mio padre però, ovviamente, non li perdono perché mio padre non l'ho più e questo rimarrà così per sempre".
«Biagi non pedala più»: slogan infame e falso
Lo slogan infame "Biagi non pedala più" già gridato in alcune piazze da antagonisti è tragicamente vero se si pensa all’uomo vigliaccamente ucciso 16 anni fa mentre tornava a casa a Bologna in bicicletta dalla stazione. Non solo non pedala più, Marco Biagi, su quella vecchia bicicletta rimasta il simbolo di un uomo mite e indifeso, ma è stato strappato all’affetto dei suoi cari, dei suoi studenti, di quanti ne hanno potuto apprezzare le doti umane, oltre a quelle di studioso. Ma quello stesso slogan, fortunatamente, è quanto di più falso possa dirsi se si guarda al pensiero e soprattutto all’opera del professore bolognese. E non solo perché, come detto, il centro studi a lui intitolato e le associazioni di studio sul diritto del lavoro e le relazioni industriali continuano la sua opera, originale perché basata soprattutto sul confronto con le legislazioni di altri Paesi. Quanto soprattutto per gli effetti pratici della legge che porta il nome del docente ucciso dalle Br.
Marco pedala ancora, su altre gambe
Marco Biagi pedala ancora, così, su altre gambe. Quelle, ad esempio, dei tanti giovani e meno giovani che nel tempo hanno trovato maggiori occasioni di lavoro, grazie alle politiche di liberalizzazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro italiano, alle quali proprio Marco Biagi diede il maggiore contributo prima a fianco del ministro Tiziano Treu nel governo di centrosinistra, poi con il ministro Roberto Maroni in quello di centrodestra. Ancora, a pedalare sono le gambe delle tante donne che finalmente, dopo anni di richieste, hanno ottenuto il part-time dalla propria azienda grazie all’introduzione delle clausole più elastiche contenute nella legge Biagi. Sono le gambe dei malati di tumore, che la riforma Biagi tutela in maniera più decisa, prevedendo per loro la concessione automatica del tempo ridotto perché possano curarsi. Sono le gambe degli studenti, che grazie ai nuovi servizi di placement delle università – autorizzati all'intermediazione di manodopera – trovano un posto di lavoro appena laureati. Sono le gambe dei tanti disoccupati che oggi non hanno più solo i vecchi uffici di collocamento ai quali rivolgersi, ma un ventaglio di possibilità costituite da centri per l’impiego, agenzie per il lavoro, società di ricollocamento.
Di fronte a tutto ciò occorre non solo mantenere "pulita" la memoria di un uomo limpido e impegnato a dare diritti, tutele e opportunità a chi non le aveva, ma soprattutto evitare di fomentare una nuova violenza ingiustificata confondendo vittime e carnefici, stravolgendo la verità storica, riaccendendo una guerra sul lavoro assolutamente da evitare.