Pier Ferdinando Casini - Ansa
Anche Pier Ferdinando Casini, senatore abituato a mille battaglie parlamentari (fino all’ultima che, a gennaio scorso, l’ha portato quasi sulla soglia del Quirinale), confessa di sentirsi «spaesato» davanti a questa guerra nel cuore dell’Europa. Condivide comunque la linea tenuta finora dal governo Draghi e ha una certezza: l’invio fino a oggi delle armi è stata una precondizione per arrivare un domani al doveroso negoziato, mentre si mostra più cauto sulle ulteriori sanzioni che «rischiano di provocare più danni a noi che ai russi, anche per gli effetti sulla crisi alimentare».
Casini, lei ha vissuto tante stagioni della politica. Le mancava una di guerra. Con quale quale stato d’animo la sta vivendo?
Un senso di scoramento. Uno degli elementi fondanti della nostra epoca nell’Occidente era l’assoluta impossibilità che ci trovassimo di nuovo in una guerra. Fra l’altro fra popoli entrambi cristiani. Temevamo il terrorismo islamista, ci eravamo purtroppo abituati a situazioni – penso a Yemen, Libia, Siria – in cui potenze straniere si confrontavano sfruttando guerre fatte per procura, per i loro interessi, mai avrei pensato però che i miei figli vivessero una stagione simile.
L’Europa affronta il conflitto con un’ipocrisia di fondo: fornisce armi all’Ucraina e paga ogni giorno centinaia di milioni alla Russia.
Non è un’ipocrisia, è che purtroppo ci siamo ritrovati in un girone infernale. Avendo accettato di essere dipendenti sull’energia dalla Russia, dentro una strategia abilmente costruita - col senno di poi - negli anni da Putin, ci troviamo ora in uno stato per cui lui sta finanziando la sua guerra con l’aumento dei prezzi che anche le sanzioni stesse provocano. Queste vanno dosate con il bilancino, allora: devono essere dure, ma anche intelligenti perché altrimenti di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno, come si dice. Questo ci deve insegnare che la diversificazione delle fonti deve essere la chiave principale per un futuro diverso.
La novità è che Zelensky pare cambiare linguaggio e dice che la soluzione potrà venire solo dalla diplomazia.
Il presidente ucraino dice una cosa ovvia, nel momento in cui riusciremo ad arrivare a un cessate il fuoco. Attenzione, però: l’invio di armi è conseguenza di un concetto forse ancora sottovalutato nella nostra opinione pubblica nazionale: non c’è una guerra ucraina, c’è una guerra all’Ucraina, dove un intero popolo reagisce perché è stato aggredito il suo intero territorio. Ma è proprio la resistenza ucraina che determinerà la spinta diplomatica perché a un certo punto – spero presto, dopo che Putin sinora ha fatto muro - ci sarà il classico bicchiere a metà che l’uomo del Cremlino potrà però 'vendere' ai russi come mezzo pieno, accettando al contempo di sedersi a un tavolo. I pacifisti a senso unico non possono non tener presente ciò.
Un pacifismo che è molto presente anche nel mondo cattolico.
Distinguiamo i piani. Che parte del mondo cattolico e anche di quello giovanile animino questo forte pacifismo è naturale e benefico, perché è l’utopismo che nutre e poi innerva anche le grandi convinzioni e svolte politiche. È un segno di vitalità del mondo cattolico. Rispetto i sentimenti di chi dice che armare gli ucraini prolunga la guerra, ma chi ha una lunga esperienza politica sa che, quando l’Urss schierò i missili SS-20, l’Europa e gli Usa risposero con gli euromissili. E fu proprio questa contromossa a portare alla stagione del disarmo, a partire dall’accordo del 1987. Occorre tener presente una premessa: nessun Paese occidentale si arma oggi per invadere perché c’è ormai una stretta connessione fra democrazia e popolo che rende impossibili guerre d’offesa, difatti queste cose accadono solo nei regimi autocratici.
Pensa che la guerra sia solo nella mente di Putin?
Non lo so, certo provo una grande pena per quei russi animati da diversi sentimenti, con i quali dobbiamo perseverare nel rapporto di amicizia e tenere aperti canali di dialogo. Per questo trovo assurdo, una sciocchezza, il boicottaggio contro artisti e sportivi russi.
Finlandia e Svezia chiedono l’ingresso nella Nato. È una tempistica giusta?
Io sono totalmente a favore. Sono Paesi europei amici, che esprimono questo desiderio. Conta il segnale da dare al Cremlino, anche nella forma. D’altronde queste richieste sono l’effetto dell’azione di Putin che ha resuscitato la Nato, data per spacciata da Macron, perché nessuno si fida più di chi ha indossato i panni dell’aggressore.
Sul fronte interno, Conte e i 5 stelle insistono nel chiedere un dibattito e un voto per un nuovo mandato del Parlamento al governo.
Voglio dire qui una cosa, anche da ex presidente della Camera: non vedo forzature nei passaggi adottati finora con limpidezza da Draghi. Così come il governo, certo, non può aver paura del Parlamento, non c’è dubbio che ci tornerà se ci saranno condizioni nuove. Che questo passaggio sia a fine maggio o a giugno poco cambia, senza drammatizzare. Trovo pure naturale che, in una situazione così drammatica, ogni partito abbia problemi col suo corpo elettorale, ma non credo che Conte voglia forzare la mano oltre misura. E aggiungo che se l’Italia può spendersi ora in un negoziato, come il piano predisposto dal ministro Di Maio, è perché ha avuto una posizione rigorosa, non ballerina.
Hanno fatto scalpore le frasi di Berlusconi, poi corrette.
Mi limito a dire che sono state parole sorprendenti, ma inaccettabili, che interpretano più che altro il suo sentimento personale con Putin. Mentre ho trovato da 10 e lode quelle della successiva nota di Forza Italia.
Reputa ancora possibile la creazione di veri Stati Uniti d’Europa?
Occorre tornare alle parole di De Gasperi di 70 anni fa, nelle quali c’era già un concetto chiaro: l’Europa non può vivere solo di un polmone economico-finanziario, servono almeno una difesa e una politica estera comuni che peraltro ci consentirebbero anche di essere più autonomi dagli Stati Uniti. Senza questo passaggio l’Unione è irrilevante. Per questo l’idea di Letta e anche di Macron di un’Europa a più velocità è intelligente e va sviluppata, anche se ora non tutti l’accettano.
Intanto il governo fibrilla anche sul ddl per la concorrenza. Vede dei timori?
Mi dia retta: sono tutte tigri di carta. Certo, servono dosi di pazienza e di quella moderazione che oggi purtroppo scarseggia, ma non vedo venti di ritorno alle urne. Né ora né nel prossimo autunno.