sabato 16 settembre 2023
Il magistrato che indagò a Palermo: don Pino faceva quello che lo Stato non faceva. A tutti diceva che un altro mondo era possibile
Alfonso Sabella

Alfonso Sabella

COMMENTA E CONDIVIDI

“Don Pino Puglisi è stato ucciso perché era un’alternativa a “cosa nostra”. E lo faceva a Brancaccio, dove per tutto dovevi passare per “cosa nostra”. Anche aprire un negozio o comprare una casa. Invece don Pino spiegava che c’era un altro mondo possibile, che in quel quartiere ti potevi diplomare, potevi imparare a fare l’idraulico o l’elettricista senza passare da loro. Tutto questo non era tollerabile da “cosa nostra”, minava la stessa radice del suo potere. Era molto più pericoloso don Pino di mille magistrati, di diecimila carabinieri”. A spiegare le motivazioni dell’uccisione del parroco di Brancaccio è Alfonso Sabella, giudice del Tribunale di Roma, per anni magistrato di punta a Palermo, il pm che catturò moltissimi capi di “cosa nostra”, titolare di inchieste importantissime, che raccolse le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pasquale Di Filippo e Pietro Romeo che indicarono per primi i nomi dei due killer Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza e il contesto nel quale il delitto era avvenuto. Negli incontri coi ragazzi delle scuole parla sempre di Puglisi. E ha testimoniato nel processo di beatificazione. Ma su quegli anni ha un giudizio molto duro. “E’ paradossale ma don Pino rappresenta la sconfitta dello Stato e della mafia insieme. La sua presenza a Brancaccio col Centro Padre nostro dice “lo Stato è assente e io lo sostituisco, la mafia cerca di dominare e io mi oppongo solo con la mia persona, col mio coraggio, con la mia determinazione”. A Brancaccio c’era don Pino che faceva quello che lo Stato non faceva, che portava un’idea diversa dalla mafia, che doveva essere universale ma che universale non era. C’era don Pino, sacrificabile con un colpo di 7,65 alla nuca”.

I due collaboratori diedero anche una motivazione dell’omicidio?

Pasquale Di Filippo la legò al discorso di Giovanni Paolo II ad Agrigento e al fatto che don Pino rompeva le scatole con la sua attività.

Grigoli e Spatuzza invece lo sapevano con certezza perché dovevano ucciderlo?

Non venivano da famiglie mafiose, non erano “uomini d’onore”, non erano “punciuti”. Era una tecnica usata per avere i cosiddetti “vuoti a perdere”, soggetti a cui davano ordini ma che non sapevano mai le ragioni. Ad esempio i materiali esecutori delle stragi del 1993, fatta eccezione per “Fifetto” Cannella, non sono “uomini d’onore” e nessuno sa la verità sul perché avevano messo quelle bombe. La regola tra gli “uomini d’onore” è che tra loro si dice la verità. Usare, quindi, degli “affiliati” era un modo per evitare di raccontare loro le ragioni dei delitti più riservati. E in caso di arresto una loro eventuale collaborazione sarebbe stata meno dannosa.

Quando capisce il motivo dell’uccisione di don Pino?

Quando arresto Pietro Aglieri seguendo padre Mario Frittitta che andava a dire messa da lui.

Ben altro prete…

Un altro tipo di prete. E infatti io nella richiesta di misura cautelare faccio proprio la differenza. A don Frittitta si rivolgevano tutti i mafiosi per celebrare matrimoni e battesimi. Don Pino no. Quando entro nel covo di Aglieri trovo l’altare, i paramenti sacri, i messali, gli incensieri. Allora capisco che lui ha fatto una sorta di pentimento davanti a Dio. Quindi forte dei miei tre esami di teologia all’Università Cattolica e gli dico “Aglieri lei ha dato a Dio quel che è di Dio, ora dia a Cesare quel che è di Cesare”.

Le rispose?

Mi disse: “Quando voi venite nelle nostre scuole a parlare di legalità e di civile convivenza, i nostri ragazzi vi seguono, ma quando cercano lavoro, un supporto scolastico, assistenza sanitaria, una casa, trovano voi o noi?”. Io non ho saputo cosa rispondergli. Ma capì realmente quali erano le ragioni dell’uccisione di don Pino. Perché era la negazione di questo controllo assoluto di “cosa nostra” sulla vita delle persone e spiegava che chi nasceva a Brancaccio non doveva necessariamente sottostare ai Graviano.

Era un “prete antimafia”?

No, solo prete. Non faceva antimafia militante, non tuonava contro i mafiosi, ma coi fatti faceva molto più danno di qualunque altra parola. Dando un’alternativa a quei giovani, un luogo dove riunirsi, recuperare gli anni scolastici, imparare un mestiere. Questo per la mafia era devastante perché andava “nelle nostre scuole”, come diceva Aglieri usando un aggettivo possessivo. Quei ragazzi non erano più “loro”, dei mafiosi. Questa era la rivoluzione di don Pino. La stessa ragione per cui viene ucciso Libero Grassi, non perché si rifiutava di pagare il pizzo ma perché era un vulnus della credibilità del sistema “cosa nostra”.

Don Pino addirittura dice ai mafiosi “incontriamoci”.

Così li spiazzava. Il dialogo che don Pino cercava con i mafiosi era un modo per dire “riconosco che avete esercitato qui un potere, io sto esercitando un altro potere, parliamoci”.

I mafiosi si dicono religiosi, ma colpiscono un prete.

Quando sono entrato nelle varie “camere della morte” della mafia ho sempre trovato immagini sacre. Gaspare Mutolo mi raccontava che prima di andare a commettere gli omicidi si faceva il segno della croce e chiedeva la protezione di Gesù per non farlo arrestare. Questa è la loro “cultura religiosa”, ovviamente paganesimo, ma usando dei simboli e dei riferimenti della cristianità. Don Pino non faceva lezioni di teologia, non spiegava perché “cosa nostra” fosse contraria ai dettami di nostro Signore, ma coi fatti era dannosissimo per il potere mafioso.

E’ convinto del reale pentimento di Grigoli e Spatuzza?

Di veri pentiti ne ho conosciuti pochissimi. Grigoli mi ha dato l’impressione di aver fatto un percorso di rivalutazione critica reale di quello che aveva fatto. Su Spatuzza non mi esprimo, ma è verosimile.

In questi giorni si parla tanto di giovani criminali, di carcere, di pene. Lui accoglieva anche i ragazzi più “difficili”.

Don Pino è una figura attualissima. La pecorella smarrita da lui trovava sempre accoglienza. Dava ai ragazzi quello che lo Stato non dava. Per questo don Pino è stato un eroe. Non lo sono stati i magistrati, i carabinieri e i poliziotti uccisi nell’adempimento del proprio dovere. Don Pino invece lo ha fatto “gratis”, per questo è un eroe. Non glielo imponeva la sua missione pastorale. E lo ha fatto consapevole dei rischi. Quello che mi dispiace è che ancora oggi puntiamo sui don Pino, che ancora oggi quelle cose le fanno loro e non lo Stato. Per questo ho parlato di sconfitta dello Stato.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: